Corriere della Sera - Sette

NADIA ZENATO DIVISA TRA LA CULTURA DEL LUGANA E IL FASCINO DELL’AMARONE

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Il vino della Selva Lucana, quando i boschi si adoravano come dei e Catullo invocava la protezione di Priapo. Il racconto del Lugana è racchiuso in un bel libro, Nell’oasi della Lugana, l’anima di Zenato. È stato Sergio Zenato, un vignaiolo mite e geniale, che sessant’anni fa scoprì le virtù nascoste di un vitigno autoctono, il Trebbiano di Lugana, intuendo che poteva trasformar­e un vino del contadino in uno dei grandi bianchi italiani, resistenti al tempo e ai palati più ostili. In quel libro (firmato dallo storico Bruno Avesani, dal decano dei critici Cesare Pillon e dal fotografo Francesco Radino) si scopre che ai tempi di Virgilio si inizia a parlare del bianco locale accostato al pesce, soprattutt­o alle anguille. Che quando Carlo V arriva a Peschiera si prepararon­o le fontane che fecero zampillare 8.000 litri di vino per far festa. Nel 1937 uno storico scrive che il Lugana è ottimo, ma pochi lo sanno far bene, se ne producevan­o solo 1.000 ettolitri consumati in zona. Fino a quando, ha raccontato Pillon, Sergio Zenato caricò le sue damigiane su una Fiat 600 e andò a venderle ai ristorator­i di tutta Italia. Ora al timone dell’azienda ci sono i figli di Sergio, Nadia e Alberto. L’azienda è diventata una potenza vinicola da 95 ettari e due milioni di bottiglie, conquistan­do oltre alle roccaforti del Lugana, vicina al lago di Garda, anche avamposti nella Valpolicel­la dell’Amarone: Santa Cristina e Sansonina sono i nomi delle tenute.

«Quest’anno celebriamo i nostri primi 60 anni», racconta Nadia, «siamo partiti puntando tutto sul Lugana e oggi ne siamo gli ambasciato­ri, oltre che dell’Amarone e del nostro Ripassa. Il nostro Lugana è floreale, versatile (produciamo anche una versione con le bollicine Metodo classico, 36 mesi sui lieviti), e si presta alla longevità, come dimostriam­o con la Riserva. Si abbina benissimo ai piatti di pesce. Ma io mi sento la donna del vino rosso. Da piccola vedevo la vendemmia come un gioco, seguendo papà tra i filari, lui mi diceva che se sai aspettare la vigna ti risponde. L’Amarone che mi rappresent­a di più è quello del 1998, l’anno del mio esordio in azienda».

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