VI RICORDATE MICENE? FU ANNIENTATA DALLE DISPARITÀ
Micene, un anno imprecisato attorno al 1200 a.C.: il Palazzo di Agamennone brucia. È la fine di una splendida civiltà fiorita nel Mediterraneo orientale, ricca e potente, capace di produrre architetture imponenti, opere d’arte e gioielli di straordinaria fattura…: una civiltà greca, ma molto, molto diversa da quella alla quale siamo abituati a pensare. Quasi automaticamente, quando pensiamo alla Grecia, siamo portati a ricordare la sua età classica, e in particolare la Atene del V secolo a. C. Per intenderci, l’Atene di Pericle. Ma prima di quella Grecia ne era esistita un’altra: quella di Agamennone, appunto, la Grecia oggi detta micenea, molto diversa da quella delle libere città-stato dall’insieme delle quali era composta la Grecia classica.
Il mondo greco miceneo era simile, per molti aspetti, a quello orientale, nel quale non esistevano dei cittadini, ma dei sudditi, sottoposti al potere più o meno dispotico di un sovrano: esattamente come nel mondo miceneo, dove il sovrano si chiamava (da cui il termine omerico anax=capo), e viveva nel suo enorme Palazzo, assistito da un (capo del lawos, l’aristocrazia combattente) e circondato da una corte di cui facevano parte i suoi cosiddetti “compagni”
alcuni dei quali, preposti al comando delle unità militari, fungevano probabilmente da collegamento fra queste e il Palazzo.
Ma il mondo miceneo non si risolveva in questa categoria di persone, tutte anche se diversamente molto privilegiate: attorno ai Palazzi, nella campagna circostante, stavano i comunità di villaggio nelle quali viveva il (forma dorica di la massa del popolo: lavoratori della terra, operai, artigiani, panettieri, fabbri, carpentieri e via dicendo, privi di ogni e qualsiasi diritto e tenuti a una serie di prestazioni nei confronti del Palazzo, come i lavori necessari in caso di calamità naturali o la manutenzione delle dighe.
Il mondo greco miceneo, insomma, era un mondo in molti aspetti simile a quello feudale, con la sua contrapposizione tra la società di corte e quella contadina, con la rigidità delle sue invalicabili divisioni sociali e con le sue corvées. Ma prima di arrivare al punto che ci interessa, vale a dire la fine della civiltà micenea e le cause della sua improvvisa scomparsa, è necessaria una premessa. Dell’esistenza della Grecia micenea siamo a conoscenza solamente da poco più di mezzo secolo. Per la precisione dal 1952, anno in cui un
Prima dell’Atene di Pericle, c’è stata un’altra Grecia detta micenea, quella di Agamennone, dei sovrani dispotici e dei loro ricchissimi palazzi. Attorno al 1200 avanti Cristo, tutto venne distrutto: da chi? E perché? Una storica del diritto prova a rispondere, ricostruendo la situazione di povertà insostenibile del
oggi torna a suscitare interesse quella che lega la fine dei Palazzi ai problemi determinati da una carestia, che nel XIII secolo a.C. avrebbe colpito il Mediterraneo, e che avrebbe costretto i micenei — dopo aver preso d’assalto i Palazzi per svaligiare i magazzini e le riserve alimentari che vi si trovavano — ad allontanarsi dalle loro sedi, per farvi ritorno, insieme ai Dori, solamente al termine della carestia, quando la civiltà micenea era ormai da tempo scomparsa.
Un’ipotesi, questa, che comporta problemi storiografici seri, che ovviamente qui non possono essere in alcun modo affrontati, ma che va ricordata per la possibilità, che apre, di legare la fine della civiltà micena a una rivolta interna. Anche se contro questa possibilità sono stati spesso ricordati gli incendi dei Palazzi, di regola attribuiti all’opera di nemici esterni quali sarebbero stati i Dori, gli incendi si spiegano con altrettanta, se non maggiore verosimiglianza, come l’esplosione incontrollata del risentimento di una popolazione troppo a lungo e per dura necessità costretta a sopravvivere in condizioni divenute assolutamente insostenibili. Di fronte alla constatazione delle ricchezze contenute nei Palazzi è più che plausibile pensare che impossessarsi delle riserve alimentari non fosse sufficiente a soddisfare quello che, con un espressione anacronistica, si potrebbe definire l’esplosione di un “odio di classe.”
Inutile dire che non è questa la sede nella quale è possibile discutere i tanti problemi e le tante ipotesi in materia, ad alimentare i quali si sono aggiunti anche i recenti fortunati ritrovamenti di ulteriori tavolette in “Lineare B”. Quello che qui premeva era ricordare la storia dei primi greci, e la morale che se ne può trarre a proposito di problemi oggi e purtroppo sempre attuali, quali sono le ingiuste distribuzioni delle risorse.