IL PENSIONATO CHE STUPRÒ E UCCISE PRESO 46 ANNI DOPO
Una serata di alcol nel 1957. Poi la violenza sessuale su una minorenne e quell’alt di due agenti. Gerald Mason gli sparò e fuggì. Nel 2003 la polizia si presenta a casa sua. E lui confessa: «Non so perché ho commesso quei crimini, li detesto»
Per quasi cinquant’anni è rimasto uno dei fatti di sangue più tragici e inesplicabili della costa californiana. Nelle prime ore di lunedì 22 luglio 1957, due poliziotti fermano una Ford Sedan che ha “bruciato” un semaforo. Una sciocchezza. L’agente Richard Phillips, 27 anni e tre figli piccoli a casa, informa il conducente che dovrà fargli il verbale e gli offre le spalle. Quello che accade nei secondi successivi, si ricava dalla scena del crimine e da due testimoni di passaggio. Il fermato spara alla schiena a Phillips; poi rivolge l’arma verso il collega Milton Curtis, 25 anni, in polizia da appena due mesi. Curtis ha il tempo di chiedere via radio «un’ambulanza, presto!», e muore.
È un duplice omicidio senza senso: due poliziotti morti per un semaforo rosso. Quando viene ritrovata, pochi isolati più avanti, l’automobile guidata dal killer, si inizia a ricostruire il movente. Il mezzo appartiene a un ragazzo del posto, Robert Dewar, in giro quella notte in compagnia della fidanzata e di una coppia di amici. Il quartetto si era appartato lungo una strada rinominata Lovers’ Lane, il viale degli amanti. Dewar si era accorto di una presenza indesiderata: un ragazzo con una pistola in pugno.
La trappola
Il tizio aveva costretto tutti e quattro a spogliarsi, aveva legato loro i polsi e ricacciato tre di loro in automobile. Dopodiché, aveva abusato della sua fidanzata. Il ragazzo era convinto che l’uomo – un giovane sui venticinque anni, capelli biondo scuro, accento non californiano – li avrebbe ammazzati. Invece no: li aveva lasciati là ed era scappato a bordo della sua macchina. La Ford presenta un foro di proiettile sul portellone posteriore e il lunotto trapassato per due volte ma vengono recuperati solamente due proiettili: del terzo, la cui traiettoria sembra puntare alla sagoma del guidatore, nessuna traccia. Le analisi stabiliscono che sono stati sparati da Phillips, veterano della guerra di Corea e tiratore sceltissimo. Era riuscito, ferito mortalmente, a fare fuoco in direzione di un’auto in fuga e, forse, anche a colpire il bersaglio.
Scatta una caccia all’uomo furibonda: El Segundo è una cittadina di buona borghesia, gente agiata e non avvezza ai crimini violenti. I giornali di Los Angeles spingono su una storia tanto disturbante: uno sconosciuto si è materializzato per le vie della città, ha rapinato quattro adolescenti, stuprato una minorenne, freddato due tutori dell’ordine, per poi svanire. L’unico dato utile è il rinvenimento, grazie alla pazienza di Howard Speaks, collega
e amico degli agenti morti, di due mezze impronte di pollice sinistro sul volante della Ford. Non corrispondono ad alcun individuo schedato né si ripetono episodi simili: l’identikit non viene riconosciuto da nessuno. Escluso si tratti di un residente, non si sa come abbia lasciato la zona: nessuno gli ha dato un passaggio, nessuno lo ha notato su mezzi pubblici, né si ricordano di lui al vicino aeroporto. Gli Stati limitrofi collaborano, ma nessuna pista utile si palesa.
Le prime tracce
Passano tre anni. Un residente di Manhattan Beach si presenta alla polizia di El Segundo. Si chiama Doug Tuley e dice che l’anno precedente aveva trovato in giardino un orologio e la culatta di una pistola, e li aveva messi da parte. Ma quello stesso giorno aveva rinvenuto il cilindro di un revolver, e allora aveva pensato a quel duplice delitto. Tuley ha ragione: i ragazzi riconoscono l’orologio e, soprattutto, la pistola è quella usata per uccidere Curtis e Phillips. La Harrington&Richardson calibro 22 ha la matricola leggibile: gli agenti volano a migliaia di chilometri, a Shreveport, Louisiana, perché risulta essere stata comprata in un’armeria del posto. Incredibilmente, il commesso ricorda l’acquirente: un ragazzo alto, capelli biondi, accento particolare. L’indagine riparte da là ma si arena al lato opposto della strada: quello stesso “George D. Wilson” che aveva comprato l’arma nel giugno 1957, aveva pernottato in un ostello Ymca, fornendo lo stesso nome e un indirizzo di Miami. Peccato che a quel nome – la polizia indaga per cinque anni su tutti i George Wilson d’America – non corrisponda alcuna persona sospettabile, e che la residenza indicata sia
fittizia. Sembra veramente finita.
La confessione
Le vedove, i fratelli e le sorelle di Curtis e Phillips invecchiano, qualcuno inizia a morire. Finché, nel 2002, una donna chiama il dipartimento raccontando che suo zio si è vantato di aver ucciso due poliziotti, negli anni Cinquanta. La polizia lo convoca, lui nega. Confrontano l’impronta del suo pollice con quella del sospettato del 1957: non corrisponde. Ma la prassi delle indagini riaperte, nel frattempo, è cambiata: nel 1999 è nato lo Iafis (Integrated Automated Fingerprint Identification System), un sistema che conta 47 milioni di impronte digitali degli schedati degli Stati Uniti. Tutti a portata di clic, dall’Alaska al Texas. L’ufficio di El Segundo lavora su quelle due mezze impronte sbiadite e lancia l’immagine digitale nel mare del database. Per
informazioni sul suo conto: ex studente in economia, poi proprietario di pompe di benzina, benestante. Sposato, due figli, vari nipoti. In pensione, gioca a golf, è benvoluto e rispettato; i vicini lo conoscono come uomo generoso e pacato. Nessun altro precedente penale dal 1956. In municipio trovano la sua firma e la confrontano con quella di quel George Wilson: è lui.
L’arresto
Il 29 gennaio 2003, il procuratore distrettuale Darren Levine e un manipolo di poliziotti si presentano a casa del signor Mason. Lo sorprendono a colazione. «Siamo qui per un caso di omicidio a El Segundo», gli comunicano. Mason è basito, sta per svenire. La moglie Betty, che nulla sa, crede a un errore di persona. Le figlie, Marie e Terri, cadono dalle nuvole: non può essere lui. Invece è lui. L’anziano è scioccato, davanti al tribunale di Los Angeles c’è un assembramento di ex agenti della polizia. Con le stampelle, si presenta anche l’ottantottenne Speaks, colui che aveva isolato l’impronta decisiva.
Mason, la voce rotta dal pianto, chiede perdono: «Non so perché ho commesso quei crimini, li detesto. Non fanno parte di me». Risparmiando il processo, Mason evita la condanna a morte e scongiura l’evenienza che la famiglia ascolti ciò che aveva fatto quella notte. Patteggia due ergastoli e ottiene di scontarli nel suo Stato. Racconta di aver ucciso gli agenti per
L’omicida viveva vicino alla sua città natale: nel 1960 si era sposato e aveva avuto due figlie, che rimasero allibite. Nel 2009 gli fu respinta la domanda di libertà: «Non nutre un vero rimorso. Sembra solo dispiaciuto di essere stato catturato»
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