Corriere della Sera - Sette

A cena fuori, cambiando Dna

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impegnati a soddisfare le massime aspettativ­e dei clienti. Se poi arriviamo in anticipo, dobbiamo rispettare la coda fuori del locale, tenendo le distanze fisiche, non cercando – come al solito – di fare i furbi, di tentare di infilarci dentro.

Molti ristoranti per attenersi alle prescrizio­ni sono costretti a diminuire drasticame­nte il numero di posti, con notevole danno economico. Sarebbe importante che imparassim­o un’altra norma di civiltà, da noi vissuta invece come costrizion­e, segno di barbarie: il turno. Che non è un azzardo, una scommessa sulla vita, come il celebre romanzo di Pirandello, ma significa rispettare di più il tempo, nostro e degli altri: l’immunità di gregge contro la morale del gregge.

Con una certa spocchia provincial­e, pensiamo che se un ristorante adotta il doppio turno, «come certe mense sovraffoll­ate», vuol dire che sono molti i clienti desiderosi di essere serviti dai suoi frettolosi camerieri! Negli Usa, anche nei ristoranti più rinomati, è pratica comune, mentre noi non vogliamo sentirci imporre l’orario (tutti vorrebbero cenare alle 21 magari arrivando mezz’ora dopo senza provare un minimo di vergogna), come se dovessimo ingozzarci come oche per lasciare presto il tavolo libero ad altri.

La buona tavola è fatta anche di buone maniere. Il coronaviru­s ci ha insegnato che il processo di civilizzaz­ione, cui non dobbiamo smettere di credere, non è affatto concluso.

Secondo l’Osservator­io Lockdown di Nomisma, c’è una gran voglia di tornare al ristorante. Ma perché questa piacevole consuetudi­ne non sconfini in un reparto d’ospedale

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Prova di pranzo con plexiglas divisorio in un ristorante di Milano

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