«MI HA SALVATA LA MIA CASA VERTICALE»
Con la sua grazia disarmante, una grazia di tono e pause, di sorrisi accesi e corrugamenti lievi, di sguardi intensi e un lessico mirato, persino in italiano, Jhumpa Lahiri ci apre le porte di casa. Quelle digitali del video-collegamento che ha trasformato — per lei come per tutti noi — il suo angolo-studio della casa di Princeton in un periscopio pubblico. E quelle sentimentali, del suo cuore di madre, moglie e scrittrice, leggendoci a fine collegamento una poesia che comparirà nel libro che potrebbe uscire entro la fine dell’anno per Guanda: Il quaderno di Nerina. La poesia che recita fa tintinnare qualcosa dentro di noi, là dove per settimane siamo stati bloccati e rischiamo d’esserlo a lungo, se non scegliamo le parole giuste, le distanze giuste, sì, ma senza dimenticare di coltivare la vicinanza. Le chiavi della poesia sono un «incastro sparpagliato di metallo» finalmente «libere dall’andirivieni abituale / e dalla fatica di aprire e chiudere le solite stanze». Le immagina «sul davanzale bianco freddo / che dà su un cortile quieto londinese»: sospese dal loro uso, sono in apparenza «senza senso».
La poesia parla dell’oggi — eci parlerà anche domani — ma è stata scritta a Roma nel 2019, come racconta Lahiri: «Era un anno sabbatico, ho scritto poesie come una febbre, e scelto uno pseudonimo, Nerina, io sono l’immaginaria curatrice. Con l’editore, Guanda di Milano, sto sistemando il libro e così mi sento idealmente anche lì, da voi, anche se non so quando potrò tornare in Italia, dove mio figlio studiava, cioè studia, ora è tornato a casa e segue le lezioni online».
Da madre vive il piacere di avere suo figlio vicino e il dispiacere di sapere che è stato allontanato dai suoi compagni.
«Poco prima del suo compleanno, l’8 maggio, mi sono resa conto di un cambiamento: prima mi lamentavo “oddio non potrò andare a Roma per il suo compleanno e allora chiederò a una mia amica romana di portare magari un ciambellone per lui”, ora invece è toccato a me fare il ciambellone, ed è bellissimo certo, ma è anche struggente, perché avevo immaginato che sarebbe andato in un altro modo, e per una scrittrice l’immaginazione è importante: se la realtà vince, è spiazzante».
Cosa l’ha colpita di più in questi mesi di lockdown?
«Il diario che scrivevo, ho smesso di farlo a fine febbraio. Ora prendo qualche appunto. Non potendo uscire, o potendo uscire poco, sembra di vivere una eterna domenica d’agosto, un lungo Ferragosto, è tutto uguale. Però stranamente le giornate sono anche piene di cose, appuntamenti e una frenesia dentro casa e poi il silenzio fuori». Abbiamo vissuto mesi di un tempo strano, “presente remoto”. Il tempo si dilata, lo spazio si accorcia e s’inabissa: alcuni cari, vicini, sono irraggiungibili e altri, lontani, li frequentiamo sugli schermi tutti i giorni.
«Mi colpivano le sirene sentite nei collegamenti dei miei amici di New York, o gli uccellini da Roma... Princeton è tranquillo, a parte il vento, che ha esasperato il mio tormento, come in un libro di Grazia Deledda... Settimana scorsa mio cugino da Calcutta mi ha chiamata, ero in cucina, ho risposto e abbiamo parlato di un altro parente e l’abbiamo aggiunto su Zoom, eravamo tutti in cucina!».
«È CAMBIATO IL RAPPORTO DEL MIO STUDIO CON LO SPAZIO FUORI. PER FORTUNA ABBIAMO UNA CASA SU PIÙ PIANI»
Avete riorganizzato lo spazio e il tempo all’interno della casa?
«È cambiato il rapporto del mio studio con lo spazio fuori ma per fortuna abbiamo scelto una casa giusta: è verticale, su più piani, piccola ma divisa molto bene, ognuno ha la sua stanzetta, io e mio marito uno studio individuale. Ogni volta che qualcuno fa qualcosa, magari si collega, io con l’università, mio figlio con la scuola di Roma, mia figlia con il liceo qui, possiamo chiudere la porta, è importante questo distanziamento. Già c’è il mondo che s’affaccia allo schermo».
In collegamento web per il festival indiano di Jaipur, ha detto che il compito degli scrittori non è cambiato molto durante il lockdown: stare in ascolto del mondo, interiore ed esteriore, assorbire e poi elaborare sulla pagina scritta. Cosa ha “sentito” di più in questi giorni?
«Il dolore. Come tutti. Tutti stiamo assorbendo il dolore degli altri. Anche di persone che non conosciamo: sentiamo di una persona anziana e pensiamo a nostro padre, a nostra madre, ma può colpire chiunque e ovunque, è una malattia misteriosa. Stiamo perdendo la generazione di chi ha vissuto la Seconda guerra mondiale, perdiamo la loro memoria e dobbiamo aiutare i giovani a non perdere la speranza, penso agli adolescenti: ho due figli che stanno alle porte della vita adulta. Io faccio l’ottimista, dico che tutto andrà bene, sì, speriamo, sarà così, ma ha già cambiato connotazione, la parola “bene”».
Quando ci incontrammo a Roma, nel 2013, teneva un taccuino di parole italiane nuove. Qual è la parola che descrive il suo stato d’animo oggi?
«Cambia di minuto in minuto. Sono triste sono addolorata sono frastornata sono scossa sono preoccupata... Non sto bene ma è una grande prova questa situazione, ha scosso il mio equilibrio, la mia decisione di vivere un po’ fra due mondi, tra gli Usa e Roma, devo crearmi un nuovo equilibrio».
Nel libro L’interprete dei malanni c’è una coppia di indiani a Boston che, complice un blackout, si trova a dirsi cose che fino a quel momento erano restate taciute. Gli imprevisti creano nuove opportunità di conoscenza: è cambiato il suo rapporto di coppia?
«Ecco, tra le 17 e le 20, era già consentito, uscivo di casa per muovermi e svuotare un po’ la testa: prima lo facevo da sola, poi con mio marito e se prima mi lamentavo delle cose che non andavano, ora ho smesso, perché ho capito che lamentarmi faceva male a me, a lui, al nostro rapporto. Abbiamo ripreso a chiederci che pianta è quella che abbiamo nel viale, chiacchieriamo delle case degli altri, è diventata una passeggiata diversa perché la strada è sempre quella, ma la qualità della mia attenzione è cambiata e abbiamo capito quanto sia un lusso poter stare assieme, rispetto a chi non poteva o non può più».
«OGNI VOLTA CHE QUALCUNO FA QUALCOSA, CHIUDE LA PORTA: QUESTO DISTANZIAMENTO È IMPORTANTE»