FABRIZIO E QUELL’ANNO (FELICE) A PORTE CHIUSE
GENERAZIONI
Dopo un’operazione per una malformazione congenita, ha trascorso la prima liceo scientifico a letto. Sono gli Anni 60, la Rete non esiste, i docenti vanno a turno da lui. Un racconto dedicato ai nuovi studenti a distanza e alla scuola. Perché non dimentichi l’importanza del Fattore E. (come empatia)
A bordo della nostra Giulietta turchese con gli antinebbia gialli arriviamo a Firenze, in Viale dei Colli. Siamo negli anni Sessanta ed io, nato con importanti malformazioni, sono già reduce da molti interventi chirurgici; al traumatologico Palagi mi aspetta il professor Scaglietti, luminare dell’ortopedia italiana. Eccomi nel suo studio con mia mamma Zelinda, entra il prof con lo stuolo dei suoi assistenti, mi guarda la gambetta e dice: «Caro Sclavi, dobbiamo dare un’altra aggiustatina, un intervento è urgente altrimenti vanifichiamo tutto quello che abbiamo fatto fino ad ora». Do il mio ok solo a un patto: non perdere il primo anno scolastico appena iniziato al liceo scientifico e poi un regalo, un cane. Mia mamma apparentemente senza emozione dice sì, il grande prof le batte una mano sulla spalla dicendo “brava mamma”, io un po’ indispettito chiarisco che bravo deve dirlo a me perché sono io che mi faccio tagliuzzare.
Parte l’organizzazione del mio prossimo futuro. Mamma Zelinda pensa a tutto con la lucidità di un generale dell’esercito, esercito italiano non tedesco. Andiamo a parlare con il preside del liceo e con i professori, purtroppo non si sa quanti mesi starò lontano da scuola e nessuno mi assicura di non perdere l’anno, dipende da me. Così comincia l’avventura di fare scuola da casa più di cinquanta anni fa, ora la fanno tutti…mi piace essere un precursore.
Mi operano e al risveglio una brutta sensazione, nessuna delle due gambe si piega: tutte e due imbrigliate dentro a un pesantissimo gesso che arriva fin sotto le ascelle, con apertura per pancia e sfiatatoi umani; ah, dimenticavo… a gambe larghe. Arrivo a casa molto nervoso, non entro nemmeno sul mio letto, i piedi rimangono fuori. Però sono felice perché ad aspettarmi come promesso c’è un bassottino, un fantastico cucciolo che chiamo Jolly.
Un po’ di giorni di adattamento, faccio sistemare la mia camera, il mio letto, cappellini di carta colorati sui miei piedi per renderli visibili ed evitare scontri con i più distratti, tutte le pareti tappezzate di manifesti di mostre d’arte e di miei disegni, al soffitto una ruota da carro da far west da me pittata, imperversa l’influenza hippy. Ho fatto installare un extra televisore tutto per me, in questo periodo voglio guardare tutti i programmi, peccato solo che siano in bianco e nero, io amo il colore, c’è
e c’è anche
condotto da Alberto Manzi che riesce ad insegnare a leggere agli analfabeti del Dopoguerra.
Poi si comincia a studiare, non voglio rimanere indietro rispetto ai nuovi compagni di liceo. Io ho già letto Italo Calvino e anche
letture consigliate da mio fratello Gastone.
Alcuni prof del mio liceo si offrono di venire a casa per tenermi aggiornato sul programma, non ci saranno interrogazioni né compiti in classe, dipenderà tutto da come io reagirò a questo anomalo metodo di insegnamento. Oggi arriva il
prof di matematica, la mia materia preferita. Mi sistemano come se dovesse entrare la Madonna, giacca del pigiama pulita, occhiali puliti e ben pettinato, meno male che non possa vedere sotto le coperte.
Inizia tra me e lui, lì da soli in presenza del cagnolino Jolly, un dibattito molto formale che poco a poco diventa amichevole: che bello riuscire ad instaurare questa empatia con un prof, è questa empatia che mi ha dato la forza di andare avanti in questa impresa. Prendo il prossimo appuntamento e gli offro un vassoio di Ricciarelli che può prendere in pasticceria da mia mamma.
Altri prof si alternano al mio capezzale, una, un po’ cicciona e petulante, quella di italiano, vuole insegnarmi cosa è la vita, immediatamente da me annientata con strategie tipo: ho mal di pancia, mi fa male la gamba, e spesso la mettevo ko facendo finta di addormentarmi, io ero giustificato. Purtroppo dopo, per tutta la vita, mi sono trovato ad avere dei grossi buchi neri nelle materie da lei insegnate. Una volta un prof ha fatto una faccia bestiale, sarebbe voluto scappare, l’ho letto sul suo volto, entrando in camera si è sentita una puzza tremenda, lui non ha avuto il coraggio di dire niente, povero ragazzo forse sono io con problemi, invece, fantastico, è stato Jolly che ha fatto i suoi bisogni sotto il letto.
Molto importante l’apporto dei miei compagni che vengono a casa contenti di potermi aiutare e poter fare merende luculliane preparate da mamma Zelinda. Salame, pecorino e crostini a go-go per tante amichette che si sentono crocerossine e per pochi ragazzi: i maschi hanno sempre paura del male e della malattia. C’è poi cugina Anna, prof di liceo, che viene quasi tutte le sere, mi tiene aggiornato su quello che succede nel mondo e mi fa studiare facendomi iniezioni di entusiasmo e curiosità che mi guideranno tutta la vita.
«Mi sono ritrovato all’improvviso a far parte di un villaggio in cui tutti, prof, cugine e compagni, erano in azione per farmi avere quella cultura che avrebbe salvato un ragazzo destinato alla rottamazione. Questa empatia mi ha dato la forza di andare avanti»
Tra poco è Natale, cosa ho chiesto come regalo? Una vacanza studio per la prossima estate, l’ho ottenuta, mi mandano in Gran Bretagna, in Scozia in un land fuori dal mondo dove si disegna e si impara l’inglese, in un castello con camere sporchissime e un cibo fetido. Secondo regalo un mangiadischi portatile, per ascoltare i miei dischi di Paul Anka, di Jimi Hendrix, dei Beatles e magari riuscire a ballare, dopo questo calvario, il ballo del mattone di Rita Pavone.
Tutto questo è andato avanti fino ad aprile, poi fisioterapia e in classe l’ultimo mese di scuola: è indispensabile questa mia presenza per gli ultimi compiti e le ultime interrogazioni e il faccia a faccia con tutti i professori.
Come io avevo previsto, rimandato a settembre con italiano, e poi via! In seconda liceo scientifico.