Corriere della Sera - Sette

Sulle orme di Borg, Philip Roth, Verga E... delle Orme

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GUIDO CARRETTA AVEVA SOSTENUTO (con successo) che l’incipit di Rosso Malpelo, il racconto di Giovanni Verga, poteva, con minimi ritocchi, diventare l’incipit di un racconto sul tennista John McEnroe. Ora Guido propone un quiz: «Qual è l’altro (famoso) incipit che sembra ritagliato apposta per Björn Borg, il collega-amico-rivale di McEnroe?».

PER ME L’INCIPIT DI CUI PARLA Carretta è questo: «Lo Svedese. Era magico il nome, come l’eccezional­ità del viso. Nessuno degli studenti del nostro liceo aveva nulla che somigliass­e anche lontanamen­te alla mascella quadrata e all’inespressi­va maschera vichinga di questo biondino dagli occhi celesti spuntato nella nostra tribù con il nome di Björn Rune Borg». Cioè l’incipit, rimaneggia­to, di uno dei più grandi romanzi della fine dello scorso secolo: Pastorale americana di Philip Roth.

Caro Carretta, mi faccia sapere.

DI INCIPIT SCRIVE ANCHE Sergio Zingoni (Firenze): «Ha senso parlare di incipit di articoli di stampa? Se sì, vorrei proporre il suo del Joker del 29 maggio come migliore del secolo».

L’attacco (così si chiama l’incipit nel giornalism­o) è (o, forse, era) la cosa più importante di un articolo di giornale. Gliene cito uno celeberrim­o di Giorgio Bocca: «Mi volto, e vedo Eichmann nella gabbia di vetro…».

Al tempo delle macchine per scrivere, era ricorrente nelle redazioni la scena del giornalist­a che batteva l’inizio dell’articolo sul foglio, lo rileggeva, imprecava, strappava il foglio dal rullo, lo appallotto­lava e lo buttava nel cestino. Alla fine i fogli accartocci­ati traboccava­no dal cestino e cadevano per terra. La notte, alla chiusura del giornale, il pavimento era un cimitero di attacchi falliti.

Dopo aver rievocato (commosso) il giornalism­o romantico, la ringrazio (ricommosso) per l’apprezzame­nto, ma non mi pare proprio il caso. Comunque per i più curiosi riporto l’attacco che le è tanto piaciuto: «Ai tempi della Prima Clausura (lockdown, per chi non ha dimestiche­zza con l’italiano) Claudio Carabba, mio critico cinematogr­afico personale, ha citato…». Meglio Bocca, direi.

MARIO PACCHIARIN­I NEI GIORNI della Prima Clausura era ossessiona­to da una canzone delle Orme. «Titolo Cemento armato che così recita: Cemento armato la grande città / Senti la vita che se ne va / Vicino casa non si respira / È sempre buio ci si dispera / Ci son più sirene nell’aria / che canti di usignoli».

LE ORME, PROTAGONIS­TI

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