ADESSO SI FA SUL SERIO MA A CHI CONVIENE TRA CAPI, DIPENDENTI E AZIENDE? WORKING
La più grande sperimentazione di massa dello smartworking è partita con la riapertura dell’Italia del 3 giugno scorso. Quello che abbiamo praticato nei tre mesi precedenti era il vecchio, claustrofobico telelavoro: operativi solo e sempre da casa, senza alternative. Così come nell’era pre-Covid si andava solo e sempre in azienda. Due facce dello stesso lavoro fordista, dove il ritmo è dettato dai vertici della piramide aziendale. L’essenza dello smartworking, invece, è la libertà di organizzarsi. Anche per i dipendenti. Che lavorano dove e quanto vogliono. Perché non si timbra più il cartellino ma si dà conto “soltanto” dei risultati.
Per la prima volta in questo 2020 gli italiani scopriranno la vacanza con il pc. Casa in affitto con piscina e angolo scrivania. Distanziamento e wi-fi. È la corsa ad attrezzare le seconde case con stampante e sedia ergonomica. Dal canto loro le aziende fanno di conto. Con il dipendente in collegamento su Teams o su Zoom dalla casa della suocera risparmi sulle mascherine, il sanificante, il termoscanner. Sulla bolletta della luce e le pulizie. Molti hanno già gettato il cuore oltre l’ostacolo. Fino a settembre si va avanti così in Fastweb, a Vodafone, in molte banche e assicurazioni. O addirittura fino a Natale, come accade per esempio in Enel.
Tutti contenti? Sui due fronti della barricata si pesano i pro (molti) e i contro (qualcuno). Tra i dipendenti comincia a serpeggiare la consapevolezza che d’ora in poi sarà impossibile staccare non solo durante la giornata ma anche in vacanza. Per le aziende ci sono i risparmi, certo. Ma l’ansia da mancato controllo è molto difficile da gestire. Lontano dagli occhi (del capo) il dipendente potrebbe essere distratto dalle incombenze familiari. E comunque perdere in motivazione. O in creatività. Da una parte ci sono Facebook e Amazon che hanno previsto il rientro in ufficio solo nel 2021. Twitter addirittura ha deciso che d’ora in poi sarà lasciata sempre la libertà di lavorare da casa. Ma dall’altra c’è Google, che ha iniziato a richiamare i dipendenti con la convinzione che il lavoro di squadra funzioni solo in presenza.
capi abbastanza/poco preparati a gestire il proprio team. D’altra parte, le aziende che avevano adottato lo smartworking prima del Covid sembrano cavarsela leggermente meglio: solo il 53% degli intervistati che avevano già lavorato da remoto valuta il management abbastanza o poco preparato.
In generale gli intervistati sono convinti che lo smartworking abbia aumentato l’efficienza: del 5-6% dove questa modalità organizzativa è stata imposta dalla circostanza, addirittura del 10% dove era già una modalità sperimentata. «Non c’è dubbio, la figura del manager è stata messa particolarmente sotto stress da questa nuova organizzazione. Ma non ha perso centralità. Anzi. Il dirigente deve avere sempre le idee chiare sugli obiettivi da raggiungere e i tempi necessari per portare a casa il risultato visto che non può organizzare da vicino il lavoro dei collaboratori», osserva Enrico Lucchinetti, senior partner McKinsey. «Da questa prima esperienza risulta evidente che con tale modalità organizzativa può essere utile avere team più piccoli da gestire. Ma un coordinamento resta cruciale». Insomma lo smartworking sembra offrire la rivincita agli emuli di Fantozzi, grazie anche alla definitiva scomparsa dei simulacri del potere aziendale, dalla dimensione della pianta nell’ufficio alla lunghezza della scrivania. Per non parlare del fatto che, se si rimpicciolisce la squadra da coordinare, il potere del capo si riduce di conseguenza. È forse per questo che l’indagine McKinsey segnala come meno favorevoli allo smartworking siano gli over 60, categoria anagrafica tra cui si concentra la maggioranza dei dirigenti. In media l’83% degli intervistati ha intenzione di adottare in maniera estensiva il lavoro da casa (la percentuale sale all’87% tra chi ha figli). Ma la quota degli over 60 che intende continuare a lavorare da remoto si ferma al 66%.