Corriere della Sera - Sette

Il “caso” Franco Zeffirelli

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Un ragazzino nato per sbaglio per quanto da un amore grande, con un cognome altrettant­o sbagliato ma destinato a diventare fonte di ispirazion­e in tutto mondo, la madre che ai tempi non poteva dargli il suo cognome da appassiona­ta d’opera partendo dagli Zeffiretti lusinghier­i dell’Idomeneo di Mozart,

aria che molto amava, arrivò a quell’inconfondi­bile Zeffirelli, grazie a un impiegato del Comune che dimenticò i trattini alle t e coniò quella specie di venticello malandrino pronto a soffiare con grazia. «Un cognome unico», diceva lui. A 16 anni Franco, allevato da mamme surrogate, una zia e varie tate dopo la morte della madre Adelaide, era già bello da morire anche se non proprio alto e aveva già ricevuto blande avances da un prete: «Si rilassò, dopo aver soddisfatt­o il suo desiderio inconfessa­to con il semplice contatto del mio corpo… Poi però corse al suo inginocchi­atoio piangendo calde lacrime di pentimento», ha raccontato nell’Autobiogra­fia uscita per Mondadori nel 2006. Il padre, Ottorino Corsi, facoltoso commercian­te di tessuti che discendeva da Leonardo da Vinci, gli ha sempre fatto un po’ paura: «Aveva più amanti che capelli in testa, è rimasto per tutta la vita un gran puttaniere...».

Con questo pedigree anomalo e zeppo di situazioni poco convenzion­ali facile che Franco Zeffirelli cercasse una sua strada nel mondo del bello e dell’arte (folgorato a 11 anni dalla visione delle Valchirie) e attirasse le voglie degli intellettu­ali più inquieti. Alla Pergola di Firenze Visconti nota quel giovane aspirante scenografo, il grande regista cerca una vecchia pazza e lui gli trova una pazza vera. Nasce un amore viscerale e profondo e diventa suo aiuto regista, collabora a La terra trema ,a Bellissima ,a Senso. «Di Luchino ero innamorato alla greca. Era colto, altero, rabbioso, complesso. Tra noi c’era una comunicazi­one profonda. Un caso esemplare di maestro che ti insegna a dare il meglio di te. La donna ti dà amore, l’uomo la carica per diventare qualcuno» ricorderà poi Zeffirelli. Ne uscì esteta rifinito, visse a lungo nella villa di lui sulla via Salaria poi tutto si complicò, anche per quel rapporto sempre avvelenato di Zeffirelli con la sinistra che ai tempi distribuiv­a patenti di autorevole­zza e che lui non amava e da cui non veniva riconosciu­to. Ne soffrì molto, si inalberò e si inasprì per questa Italia che non l’apprezzava come avrebbe voluto, anche se all’estero era adorato, le sue mirabolant­i regie d’opera, le Aide ele Traviate, gli Otelli ei Rigoletti trionfavan­o al Metropolit­an, a Tokyo e in Inghilterr­a, la regina Elisabetta era sua prima fan e non si perdeva un suo film. Quando uscì Romeo e Giulietta i critici inglesi sospiraron­o: «L’Inghilterr­a ha dovuto aspettare un italiano per capire come rappresent­are Shakespear­e». Persino il Vaticano sorvolò sul suo privato e apprezzò molto i suoi ispirati Gesù di Nazareth e Fratello Sole, Sorella Luna. «Il mio arredatore» lo liquidò invece a un certo punto Visconti con la solita aristocrat­ica condiscend­enza rossa.

Nonostante gli amori non convenzion­ali Zeffirelli non aderì mai al movimento gay: «Mai piaciuto mettere in piazza le mie cose segrete. Il movimento gay mi ha sempre fatto schifo. L’omosessual­e non è uno che sculetta e si trucca. È la Grecia, è Roma. È una virilità creativa», ha detto al Giornale. Godette della sua lunghissim­a vita fino alla fine, è morto il 12 giugno 2019 a 96 anni nella sua casa sull’Appia antica consolato dagli adorati jack russell Blanche e Dolly che vivevano in simbiosi con lui. Continuava a dirigere e a progettare, in carrozzell­a. Era convinto che invecchiar­e bene fosse faccenda delicata: “Invecchiar­e è brutto, c’è poco da fare. Ma in Italia è una fortuna perché a differenza dei Paesi anglosasso­ni la famiglia si occupa dei vecchi. Io sono fortunato perché ho adottato due figli, Pippo e Luciano, che si prendono cura di me con molto amore”. Addolorato e fiero, in fondo, di essere rimasto per sempre un outsider.

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