«Vorreste cambiare sesso?» Le risposte dei bambini veneti
Un libro ha raccolto i risultati di un’inchiesta sui figli tra i 10 e i 14 anni di famiglie operaie e contadine. Le femmine lo farebbero per alleviare i limiti della propria condizione, i maschi per non andare sotto le armi. L’orrore per i lavori di casa li accomuna tutti e tutte
Perché una bambina può desiderare d’essere maschio? «Per stare nella nazionale di calcio dell’Italia e fare molti gol. Perché i maschi possono buttare le gambe qua e là, invece noi non possiamo neanche gettare una gamba alta che si vedono le mutande. Per non fare mai più quei noiosi di lavori di casa. Per guidare fortissimo una macchina nera con la testa di morto bianca. Per avere una serva».
E perché un bambino può desiderare d’essere femmina? «Perché le femmine portano i pantaloni e anche la gonna, invece noi la gonna non la possiamo mettere. Per non lavorare e non fare il servizio militare. Per avere il fidanzato e andarci assieme sotto le coperte del letto. Per avere il bellissimo nome di Barbara, far vedere che bellissime gambe ho, sposare un miliardario e ogni sera andare con lui a ballare in un ristorante di Roma».
Ipotetiche identità
L’inchiesta che rivela queste e altre puerili fantasie sul cambiamento di sesso è stata condotta tra ragazze e ragazzi di 10-14 anni appartenenti a famiglie operaie e contadine d’una provincia veneta, studenti di prima e seconda media in una scuola di città e in due scuole di paesi rurali. I centosessantanove componimenti nei quali i bambini hanno immaginato di mutare sesso, hanno riflettuto su vantaggi e svantaggi d’essere femmina o maschio e si sono contemplati in ipotetiche identità diverse, sono raccolti ne La bambola rotta, un libro di Ileana Montini appena pubblicato da Bertani (pp. 233, lire 3.200).
Iniziativa non nuova: anzi, diventano sempre più numerosi i volumi che raccolgono pensieri, impressioni, risposte, opinioni, disegni o fantasie infantili. Spesso curati dagli insegnanti, che sono in grado di imporre ai bambini pure compiti simili, si propongono in genere di conoscere meglio la nuovissima generazione, di studiarne sentimenti e condizionamenti, di scoprirne desideri e impazienze. Si sa che i bambini sono bugiardi e conformisti? Pazienza. Si sa che con opportunismo da oppressi cercano sempre di piacere e compiacere, che con furbizia di schiavi tirano sempre a dire quanto pensano ci si aspetti da loro? Non importa.
Ai lettori queste raccolte piacciono. Discorsi o disegni dei bambini appaiono curiosi, divertenti nel loro “kitsch”, buffi nella loro ingenuità; la fantasia che li anima è eccentrica nella quotidiana monotonia e consente fini interpretazioni psicologiche; la loro innocenza risulta piacevolmente insolita, l’eventuale mancanza d’innocenza permette sospirose deplorazioni. Del resto non soltanto in questo tipo di editoria, anche nella vita i bambini vengono cannibalescamente contemplati, studiati, spiati e analizzati come fenomeno esotico di spontaneità: mentre capita che pensieri e desideri infantili riflettano semplicemente i condizionamenti familiari, televisivi, scolastici, sociali.
Capita anche in La bambola rotta. Il titolo del libro allude insieme alla fine dell’età dei giochi
e all’infrangersi della vecchia immagine femminile; l’inchiesta rivela bambini addomesticati che ragionano come vecchietti conservatori e si esprimono come la Tv dei ragazzi: monello, a zonzo, vispa, marachelle, accudire, birichino, maldestri, spericolato, regina della casa, scalmanato che con la moto rompe i timpani alla gente. L’inchiesta rivela quanto (a 10-14 anni) pregiudizi e ruoli sociali siano già stereotipati. Neppure una bambina mostra di aspirare al privilegio maschile del potere, neppure un bambino dice di invidiare la prerogativa femminile della maternità: sono faccende scontate, non se ne parla proprio. Nella maggioranza dei casi i bambini non si ribellano, non rinnegano se stessi, non vorrebbero cambiare sesso: lamentano invece inconvenienti e limiti della propria condizione.
Ciò che non piace
Più che voler davvero essere uomini, le bambine sembrano sognare che essere donne sia meno faticoso e frustrante. In realtà, dei maschi, secondo il tradizionale antagonismo dei sessi, dichiarano d’avere pochissima stima: «Sono villani; dicono parolacce molto brutte; sono mascalzoni, volgari e furiosi, sempre lì che si prendono a pugni; credono di sapere tutto loro e nelle interrogazioni prendono quattro». Una soltanto li considera gentili, dato che pagano: «Portano al cinema o a ballare e offrono qualcosa da bere».
Neanche il destino virile sembra alle bambine particolarmente desiderabile: «Non mi piace perché se ero maschio dovrò fare il servizio militare dove si mangia male, fanno la puntura sul torace, sgridano se si è vestiti male e si sta sempre sotto comando; la vita d’un maschio per me è più faticosa; dovrei andare in fabbrica e forse mi mettono in un reparto di lavori pesanti». Influenzate da chissà quali lamentazioni materne o anatemi parrocchiali veneti, si son fatte dell’esistenza maschile una idea, allarmante: «Si corre troppi pericoli, se sei piccolo quelli grandi ti maltrattano, ti insegnano brutte cose come rubare o uccidere, tu le impari e vai in galera»; «Se fossi maschio potrei mettermi a bere, quindi successivamente star male e diventare pazzo, dopo esser diventato pazzo potrei drogarmi e così via da arrivare al punto di morire». Ma la condizione femminile pare loro così greve e mortificante che, nonostante tutto, li invidiano. Dei maschi invidiano la libertà («Sono liberi, possono andare marinai, escono giorno e sera quando gli pare, arrivano a casa e mangiano senza dover poi sparecchiare»). I capelli corti («In due minuti la mattina sono già pettinati»), l’autorità della forza fisica («Essendo più deboli siamo costrette a farci comandare»), la varietà della vita («La donna fa sempre le stesse cose, pulire, lavare, invece l’uomo tanti lavori differenti»). Molto li invidiano perché possono giocare al calcio, sport che risulta amatissimo dalle bambine e che quasi tutte desiderano ardentemente praticare. Soprattutto li invidiano perché non sono costretti alle faccende domestiche.
Nei risultati dell’inchiesta, ecco il solo elemento che accomuna bambine e bambini: l’orrore per i lavori di casa. Quelle se ne lagnano, li odiano, li considerano la condanna più pesante e inevitabile, la più penosa limitazione di libertà. Questi li giudicano il principale motivo per cui essere donne sarebbe terribile. Non che non ci siano altri motivi: secondo i ragazzi «L’unica cosa che ha di bello la ragazza è che non deve andare sotto le armi». Per il resto, il disprezzo ostentato verso le donne è, nella peggiore tradizione, assoluto: «Sono piagnucolose e piagnistee; sono “snafre” paurose di tutto; sono sempre viziose; bucano l’orecchio, mettono il rossetto, cavano le sopracciglia, colorano gli occhi; sono finte, sceme e smorfiose; brave a scuola e buone di niente in casa». A volte la arroganza nasconde male qualche timore: «Ti guardano, poi si mettono a parlare tra di loro e ridono»; «Pettegolone spione, quando vedono una cosa segreta la vanno subito a dire».
Inconvenienti