La scuola è finita. All’ultimo posto
alla mostra di Raffaello. Ma non potremo accompagnare i nostri figli a scuola; almeno fino a settembre.
Il motivo sanitario è ovviamente valido, ma non può spiegare da solo perché la scuola sia rimasta in fondo a tutte le riaperture, anche di settori dove i rischi sono analoghi. In Gran Bretagna, per esempio, Paese non certo encomiabile in materia di epidemia, le scuole hanno però riaperto prima dei pub. In Francia prima dei bistrot. Non tutte, ovviamente, e non ovunque. Ma i governi di Londra e Parigi hanno voluto dare un messaggio: per noi la scuola è più importante dei nostri stessi simboli nazionali, viene prima della birra e prima del croissant. È un po’ come se noi avessimo riaperto le elementari prima della Serie A.
Si dice: ma noi abbiamo le classi-pollaio, troppi alunni per poter ricominciare in sicurezza. Non è vero. In Francia la dimensione media delle classi è di 24 bambini, nel Regno Unito di 27, da noi di 19. Nelle superiori noi abbiamo 10 studenti per docente, la Francia 13, la Gran Bretagna
17. Dunque avremmo avuto abbastanza classi e abbastanza insegnanti per fare come e meglio degli altri. E allora, perché?
Alessia Mosca, che da deputata firmò la legge per le quote femminili nei Cda delle aziende, sostiene che questa indifferenza al tema della scuola nasconde anche una sottile discriminazione di genere: «Senza la scuola, nel ’900 le donne sarebbero rimaste tutte a casa ad accudire i figli». Io invece mi sono convinto che la ragione per cui la scuola arriva sempre ultima in Italia è esattamente opposta. I nostri governanti, cioè, sanno di poter tenerla chiusa proprio perché a casa c’è un esercito di forza lavoro femminile (e di anziani) in grado di sostituirla.
È un aspetto cruciale del patto sociale all’italiana. Noi spendiamo meno per l’istruzione (meno di quanto spendiamo per pagare i soli interessi sul debito), spendiamo meno per gli asili e per i trasporti, spendiamo meno per i servizi pubblici, perché teniamo a casa le donne. Ecco perché è così forte la resistenza all’uguaglianza sul lavoro e nelle paghe. Non è solo un fatto culturale. Anzi, il fatto culturale è figlio di un dato economico. Quando finì la Prima guerra mondiale, durante la quale le donne avevano sostituito gli uomini in tanti lavori, ci fu un formidabile colpo di coda contro l’emancipazione femminile. I maschi tornavano dal fronte, e volevano indietro i loro posti (e il nascente movimento fascista seppe sfruttare questo sentimento). Non è detto che dalla crisi del coronavirus usciremo migliori. Attente, donne.
In tempi normali, i nostri figli starebbero festeggiando più o meno oggi la fine della scuola. Palloncini e dolcetti per i più piccoli, casino e gavettoni per i più grandi. Quest’anno i genitori, me compreso, festeggerebbero se la scuola riaprisse oggi, quando di solito finisce. Ma, come è noto, non avremo questo piacere. A giugno potremo andare al mare, al ristorante, al teatro, al cinema, al museo,