Corriere della Sera - Sette

ABBIAMO AMATO DI PIÙ PERCHÉ L’AMORE È L’ANTIDOTO

- Di ELVIRA SERRA

Abbiamo imparato a farci la tinta da sole, abbiamo imparato a condivider­e le storie su Instagram, abbiamo imparato a calcolare l’Indice R0 e poi a sostituirl­o con l’Indice Rt. Abbiamo imparato a prenderci cura dei nostri genitori videochiam­andoli su WhatsApp e a prenderci cura di noi stesse vedendo la psicologa su Skype. Non abbiamo imparato ad amare in modo temerario. Quello lo facevamo già. L’amore è stato il nostro antidoto al virus, ma l’amore lo è sempre: ci riempie e ci distrae, in uno stato di grazia (o disgrazia) permanente che ci allontana dagli altri guai.

Le amanti non hanno amato meno, hanno amato di più. E come sempre si sono prese il carico più grosso, il peso della paura, la frustrazio­ne dell’attesa. Le donne hanno tradito di più, rispetto agli uomini, perché le loro relazioni sono sempre state anzitutto emotive, e questo le ha spinte a essere più coraggiose. Lo ha detto la columnist del

Lisa Taddeo in una recente conversazi­one con il E lo conferma l’esperienza di Carmen Leccardi, sociologa della cultura all’Università Bicocca di Milano, che fa capire quanto la sfera dell’intimità emozionale in queste settimane sia stata importante per coltivare l’equilibrio interiore.

stato Anthony Giddens, già negli anni ‘90, a coniare la definizion­e di «relazione pura» come quella fondata sulla condivisio­ne di una intimità emozionale che ha sullo sfondo il rispecchia­rsi reciproco dei partner. Chi di noi, quando è innamorata, non considera «pura» la sua relazione? Quanto è importante nell’esplorazio­ne di sé? Quanto pesa, nell’economia dei nostri affetti? Sarà per questo che in più di due mesi di allontanam­ento forzato uno dei grandi temi con cui abbiamo dovuto infine fare i conti è quello dei congiunti. «Che sono i “con giunti”, coloro che sentiamo emozionalm­ente vicini, una categoria larga, e spesso sommersa, che questa pandemia ha portato in primo piano», spiega Leccardi. Perché se è vero che nessun Dpcm ha contemplat­o gli amanti tra i familiari che avremmo potuto incontrare alla fine del lockdown, la loro esistenza e il loro impatto emotivo nella nostra vita è stato ed è più forte di qualsiasi altra parentela decodifica­ta da un legame di sangue.

Non erano forse «congiunti» Neil Ferguson, il luminare 51enne dell’Imperial College di Londra che aveva convinto Boris Johnson a fare marcia indietro sulla famigerata immunità di gregge, e Antonia Staats, l’attivista di tredici

lata. Tutto a causa di due persone che, nella città di Córdoba, hanno violato l’autoisolam­ento obbligator­io». Una lettera scarlatta del Terzo Millennio.

Non sono stati tutti così temerari, gli uomini. Molti si sono rintanati al calduccio dei focolari domestici, rubando minuti, semmai, alle code fuori dai supermerca­ti, alle corse intorno all’isolato o alle uscite per la pipì del cane (non è questo lo spazio per parlare delle depression­i canine registrate con l’inizio della Fase 2 e il ritorno in ufficio dei proprietar­i, ma ci sono anche loro a cui bisognerà pensare). È troppo presto per avere studi scientific­i sulle relazioni di coppia in tempo di coronaviru­s, ma la professore­ssa associata nel Dipartimen­to di Psicologia della Sapienza di Roma Patrizia Velotti può già attingere alla sua esperienza clinica per osservare il bisogno delle donne di mettere in luce queste relazioni, dare loro spazio e dignità. Con il rischio, adesso, di snaturare la clandestin­ità. Osserva, infatti: «Siamo sicuri che una splendida relazione clandestin­a possa diventare una splendida relazione ufficiale? Il pensiero di avere un luogo nell’ombra dove coltivare qualcosa di prezioso è alla base del rapporto stesso che è stato costruito. I codici di funzioname­nto di un rapporto segreto cambiano radicalmen­te se ne vogliamo cambiare la natura».

A noi donne (non tutte, e va bene così) piace pensare all’Amore con la A maiuscola. Ma fosse anche solo un bisogno di coccole, è stato comunque legittimat­o in questi mesi incredibil­i e inattesi. Lo insegna il governo olandese, che altrimenti non avrebbe cescavalla­te duto alle pressioni della stampa, ammettendo la possibilit­à di far incontrare alle persone chiuse in casa un un amico di letto. Il quotidiano che si era schierato con un editoriale dalla parte dei single, aveva difeso in questa scelta un «diritto umano e non un lusso o un capriccio». L’Istituto di Sanità Rvim, prontament­e, aveva dato il benestare. All’opposto del Canada, dove la Society of Obstetrici­ans and Gynaecolog­ists, per il postCovid dissuade dal fare sesso con persone che non siano i propri conviventi e, piuttosto, suggerisce la masturbazi­one o il ricorso alla tecnologia.

Amare o essere amate? Davvero faremo sesso da soli o separati dallo schermo dello smartphone o del computer? Abbandonar­si all’intimità con il cellulare richiede una forte dose di fiducia. O, al contrario, una totale indifferen­za verso il partner. Si potrebbero leggere così gli incrementi, generalizz­ati in tutto il mondo, dei contatti sui siti di appuntamen­ti online. Quand’anche l’incontro virtuale sfociasse in quello reale, resta da vedere se reggerà il salto. Il settimanal­e francese ha da poco raccontato storie di coppie appena

Le donne hanno tradito in misura maggiore rispetto agli uomini, perché le loro relazioni sono sempre state innanzitut­to emotive e questo le ha spinte ad essere più coraggiose: la sfera dell’intimità emozionale, in queste settimane, è stata importante per coltivare l’equilibrio interiore

dalla Fase 1 alla Fase 2. È interessan­te quella di una ragazza per la quale la prova d’amore più grande del suo fidanzato è stata affrontare i cento chilometri che li separavano con una falsa autocertif­icazione. Dimostra che i desideri delle donne non sono poi così diversi. Proprio nella «Posta del cuore» di questo giornale qualche settimana fa una lettrice si lamentava del fatto che durante il lockdown il partner andava a trovare regolarmen­te la madre a pranzo e addirittur­a si spingeva «per necessità» in posti vicini a casa sua, senza mai raggiunger­la. Ha scritto che non avrebbe voluto che infrangess­e le regole per lei. Ma che almeno glielo proponesse. E allora forse la cosa che dobbiamo davvero ancora imparare alla fine di questa lunghissim­a emergenza sanitaria è di provare a cambiare chi amiamo e non provare a cambiare noi stesse.

Amiamo per sentirci vive e per evolverci. Indipenden­temente da chi ci ricambia. Nel 1949 Inoue Yasushi nel suo raccontò di quando, al secondo anno o al terzo anno di un liceo femminile, le studentess­e del corso di inglese alle prese con i verbi attivi e passivi dovettero rispondere alla domanda: vuoi amare o vuoi essere amata? Solo una appuntò un cerchietto rosso sopra il primo infinito. Era una ragazza dai capelli sottili, insignific­ante. L’autore, due pagine dopo, la immagina anziana, alla fine della sua vita. «Avrà magari i capelli in disordine, il corpo segnato dalle ferite, gli abiti a brandelli, ma potrà dire a testa alta, con fierezza: “Io ho amato”. Ed esalare l’ultimo respiro».

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