«A QUATTORDICI ANNI FOTOGRAFAI RACHELE MUSSOLINI. E MIO PADRE DISSE CHE ERO STATO PIÙ BRAVO DI LUI»
Un fondo bianco: solo a Richard Avedon poteva venire in mente di portarsi in Vietnam, per seguire quella guerra feroce tra i marines e i vietcong, un telo bianco da appendere da qualche parte per dare più risalto a certe immagini fotografiche. E forse per questo Oliviero Toscani ha deciso di dedicare a lui («il più bravo di tutti, il più completo, il Maestro dei Maestri (...) Il primo a capire che anche la moda è un’espressione sociale, quando la tendenza era quella di considerare la foto di moda “frivola”») il libro «Caro Avedon. La fotografia in 25 lettere ai grandi maestri», da ieri in libreria per Solferino.
I maestri
Certo, non manca l’omaggio a giganti quali Robert Capa: «La guerra, dal punto di vista estetico, è come un grande teatro. Tu ne sai qualcosa, visto che sei stato in prima linea nei più importanti e recenti conflitti: dalla guerra di Spagna
allo sbarco in Normandia, dalla liberazione di Parigi alla guerra del Vietnam, dove sei caduto ucciso da una mina. Non sparavi munizioni ma immagini, che adesso sono testimonianza della tragedia che ogni conflitto bellico racchiude». Ma, come scrive Michele Smargiassi nella prefazione, è grato anche «ad August Sander per avergli fatto capire che “nessuna faccia è banale”» a partire dalla sua foto preferita, quella con un ragazzo che porta sulle spalle un ammasso di mattoni. E poi a «Franco Fontana per il coraggio di affermare “l’energia vitale del colore” contro lo snobismo del bianco e nero. A David Bailey per l’immaginazione ipotetica (qualunque cosa significhi). A Diane Arbus per aver scoperto la bellezza nella tragedia...» e ad altri ancora.
Perfino i «maestri» che infilza con la sua ironia, a partire dall’osannato Steve McCurry criticatissimo per il suo uso del Photoshop