IL NUOVO BORIS MR. ARROGANCE È DIVENTATO (DAVVERO) BUONO?
Molti hanno commentato la svolta salutista e antirazzista del premier Johnson come una conversione sulla via di Damasco. La realtà è diversa: ha semplicemente avuto paura ed è sceso a patti con la vita
Stato, che vorrebbe «minimo», e di regolazione, considerata sempre una forma di ingerenza nella vita degli individui. Tanto per dire: era contrario anche ai seggiolini per i bambini nelle auto, in nome del diritto alla libertà dei minori.
Questo scapestrato modo di vedere la vita, allevato alla perfezione nelle “boarding school” che ha frequentato, prima a Eton e poi a Oxford, condito con il vezzo della trasandatezza nel vestire e nel portare i capelli che solo coloro che vivono in un collegio senza la madre da quando avevano 11 anni possono sviluppare, ha fatto credere a molti che Boris fosse anche lui un esponente della corrente “Truce” che ha preso la guida della nuova destra mondiale: insomma un altro Trump, un Bolsonaro, un Salvini. Zingaretti, per esempio, l’aveva definito un esempio della «destra arrogante e incolta», anche se il suo collega britannico ha in realtà una laurea in studi classici a Oxford e alle spalle un libro sulla civiltà romana e una biografia di Churchill che persino gli Editori Riuniti avrebbero pubblicato. Il cambiamento profondo che si è prodotto in lui dopo l’incontro con la morte è stato interpretato come un passaggio dal “cattivismo” tipico della destra al “buonismo” patrimonio della sinistra. Niente di più sbagliato. Boris non è mai stato un “truce”, un “cattivista” (e men che mai un razzista); al massimo un “maverick”, e cioè un originale, uno stravagante, un anticonformista, degno discendente di un’attitudine tutta britannica a sfidare il senso comune. Il suo incontro con la morte ha prodotto dunque sì una mutazione genetica, ma di differente natura.
Boris ha semplicemente preso paura. Abituato a pensare che per nascita e merito tutto gli fosse dovuto, ha scoperto che invece anche per lui la vita può essere «odiosa, brutale e breve», come nel celebre scritto del suo connazionale Hobbes. E che il patto sociale, cioè lo Stato e le sue regole, servono proprio ad evitare questo. Così, uscito d’ospedale, la prima cosa che ha fatto è stata dichiarare guerra al grasso e all’obesità, perché quando si è ammalato pesava 110 chili e i dottori che l’hanno avuto in cura glielo devono aver fatto pesare. E così, come ha scritto Luigi Ippolito sul Corriere, dopo aver polemizzato a lungo contro lo Stato-bambinaia che vuol decidere al posto dei genitori quali merende mettere negli zainetti dei figli, ha lanciato una sugar tax per ridurre il consumo di bevande zuccherate. Poi ha invitato gli italiani «a tornare da noi», quegli stessi cui la sua vittoriosa campagna per la Brexit voleva chiudere in faccia le porte insieme con tutti gli altri europei. Infine ha fatto un discorso televisivo per solidarizzare con chi manifesta contro il razzismo, la discriminazione, il pregiudizio e i poliziotti americani, che non deve essere molto piaciuto al suo ex amico Trump.
Il passo indietro
Johnson insomma è come un uomo sceso a patti con la vita, sorpreso di averla ancora nelle sue mani, all’improvviso preoccupato di preservarla e renderla migliore. I suoi avversari di sempre si sentono ingannati. In un solo giorno, sul sito dell’Independent, ho visto tre titoli basati sul fatto che sì ora Boris parla contro il razzismo, sì ora dice che i lavoratori stranieri sono “welcome”, sì ora vuol tener chiuse le scuole per precauzione, ma prima si dovrebbe scusare