La calda estate algerina del presidente Tebboune
Sarà un’estate calda ad Algeri. La crisi climatica c’entra relativamente (quella c’entra ormai comunque). Ma non è il sole il problema. Lo è il Covid-19. Ancor di più lo saranno le tensioni sociali e civili. La pandemia ha colpito in misura maggiore che altrove in Africa. Il presidente Abdelmadjid Tebboune, eletto a dicembre, s’è trovato un Paese inadeguato dal punto di vista sanitario. Protezioni, strutture: niente. Un migliaio i morti, con un’alta percentuale sui malati. La grande questione è però economica. Col crollo del prezzo degli idrocarburi – il 60% del bilancio nazionale (il 93% dei ricavi da export) – Tebboune l’ha annunciato: la spesa pubblica va dimezzata. Per un presidente scelto con due voti su tre, ma sulla base di soli 4 elettori su 10, la delegittimazione già grave rischia di minare il mandato in modo definitivo. A 74 anni Tebboune era arrivato alla presidenza dopo aver fatto (nel 2017) il premier di un governo balneare. Soprattutto, è il rappresentante dell’élite al potere, mentre il popolo voleva un drastico cambio di rotta dopo mesi di contestazioni nelle strade e la fine del ventennio di Bouteflika. Tebboune ha promesso una riforma costituzionale, invece ha approfittato del virus: col lockdown le manifestazioni sono state vietate, vari leader dell’Hirak (la protesta) incarcerati, e una legge contro le fake news ha ridotto la libertà di stampa. Ora l’opposizione potrà far leva sul malcontento e Tebboune irrigidirsi nell’uso della forza. Farà caldo ad Algeri.