Corriere della Sera - Sette

GLI UOMINI CHE ODIANO LE DONNE

- Di MASSIMILIA­NO JATTONI DALL’ASÉN

È la sera del 21 settembre 1971. A Udine l’estate sembra ormai già un ricordo lontano. Il cielo quel giorno è stato gravido di nubi e anche per questo il buio è arrivato presto. In una stradina senza via d’uscita, accanto a una roggia che scorre poco lontano dalla stazione, si vedono brillare nell’ombra le luci posteriori di un’auto. Al suo interno c’è Irene Belletti, 35 anni. Non è la prima volta che la donna si ferma in quel vicolo. È un buon posto per appartarsi con i clienti: si è in piena città, ma lontano da occhi troppo indiscreti. Solo pochi minuti prima, Irene ha soddisfatt­o i desideri di un militare in libera uscita. È stata un po’ sbrigativa però perché a casa ad aspettarla c’è il figlio di 13 anni. Ma a casa, Irene, non ci arriverà mai. Nel momento esatto in cui inizia questa storia dell’orrore, la donna è ri

medico non può che constatare la morte di Irene.

Il delitto di una prostituta non infiamma la fantasia dei cronisti e la polizia tratta queste morti alla stregua di tutti gli altri crimini che si consumano tra gli emarginati e i drogati che popolano in quegli anni anche le città di provincia. Ma questa volta qualcosa non torna: sul corpo di Irene ci si è accaniti con troppa violenza e sotto al suo sedile c’è la borsetta con i soldi guadagnati quel giorno. Bisogna dunque escludere la rapina come movente. Gli inquirenti sono propensi a pensare a una vendetta maturata nell’ambiente conflittua­le delle “mondane”, come venivano chiamate all’epoca le prostitute. Se non fosse per un dettaglio inquietant­e che scompiglia le carte: poco dopo la mezzanotte un uomo ha telefonato al quotidiano locale: «Andate nel vicolo delle Ferriere», ha avvertito la voce anonima, «troverete una donna sgozzata».

A quell’ora il corpo di Irene non è stato ancora trovato: chi poteva, dunque, avere interesse che la stampa fosse informata prima ancora che la polizia? Eppure, nessuno dà troppo peso a una telefonata che prenderà tutta un’altra luce molti anni dopo. Perché la morte di Irene non è una delle tante che si consumano nei quartieri malfamati della città, la morte di Irene è l’inizio di un incubo durato più di 20 anni e sul quale nessuno ha ancora scritto la parola fine.

Dal delitto Belletti è passato poco più di un anno, quando nell’androne di un palazzo in centro a Udine, Elsa Moruzzi, 52 anni, viene trovata morta in un lago di sangue. A ucciderla è stato un fendente alla base del collo. Anche Elsa fa la prostituta e di brutta gente ne incontra ogni giorno. Ma la polizia concentra l’attenzione sul convivente della donna, un 67enne che anche se macchiato dal sospetto riuscirà a scagionars­i. E così, ben presto, la morte di Elsa finisce in un faldone che si riempie di polvere. Passano ancora un paio di anni e nel dicembre 1975, sempre nel centro di Udine, in un vecchio appartamen­to viene trovata morta Eugenia Tilling, una conoscenza della Buoncostum­e ormai sulla cinquantin­a. Le indagini lampo portano a mettere le manette ai polsi al commesso di un negozio dove la vittima faceva acquisti. Il ragazzo svela particolar­i che solo l’assassino può conoscere. Viene processato e condannato. Ma nel corso del tempo ritratterà tutto: non è stato lui a uccidere Eugenia, «a ucciderla è stato un mostro».

Trascorron­o 9 mesi, il tempo della gestazione di una mente malata, e il 21 settembre 1976 in un campo di granturco dalle parti di Moruzzo, a una decina di chilometri da Udine, viene rinvenuto il corpo di Maria Luisa Bernardo,

La prima fu uccisa all’inizio degli anni Settanta: era una prostituta che si era appena appartata con un cliente. Seguì una lunga catena di delitti che ha insanguina­to Udine fino alla fine degli anni Ottanta. Con un sospetto: che i mostri fossero due

26 anni. Anche lei fa “la vita” per sbarcare il lunario e mantenere due figli piccoli e un marito piegato dal diabete. Sul suo corpo l’assassino ha infierito 17 volte, 17 pugnalate che le hanno strappato la vita con una violenza tale che la polizia non può archiviare il caso come un banale regolament­o di conti: a Udine si aggira un assassino che sceglie le sue vittime tra le donne più esposte e indifese.

Il ritorno

Poi, tutto sembra tornare nei binari monotoni del tran tran di provincia. Fino all’ottobre del 1979, quando un omicidio fotocopia di quello di Maria Luisa getta la città nel terrore. Questa volta riversa in un campo di granturco c’è Jaqueline Brechbuler, una francese di 46 anni sposata a un camionista del posto. Anche lei è stata pugnalata. Per ben 10 volte. Il tempo che il suo nome esca dalle pagine dei giornali e un’altra ragazza fa la

sua stessa fine. Nel pomeriggio del 19 febbraio 1980 un contadino scopre in un campo alla periferia della città il corpo di Maria Carla Belloni, una ragazza di soli 19 anni che si prostituis­ce per racimolare il denaro che le serve per la droga. Ma questa volta c’è un dettaglio raccapricc­iante: Maria Carla non è stata solo sgozzata, l’assassino l’ha anche sventrata: dal petto fino al pube.

Passano due anni ed ecco il settimo delitto. In una camera dell’hotel Bellavista di Camporosso, una cameriera viene trovata morta strangolat­a. È Karina Rosita Buderer, una donna dal passato inquieto. Ma è possibile che il mostro abbia cambiato il suo modo di uccidere? La morte di Maria Carla c’entra davvero con gli altri omicidi? Poi, il 24 gennaio 1983 perde la vita Luana Giamporcar­o, una prostituta di 22 anni. Anche lei è stata macellata come Maria Carla e come sarà due anni dopo Aurelia Januschewi­tz, una prostituta di origini slave abbandonat­a in un campo, sgozzata e sventrata.

Il dubbio

Da quando il mostro di Firenze riempie le pagine dei giornali, la gente ha preso dimestiche­zza con le inquietant­i figure dei serial killer. Nessuno più dubita quindi che a Udine si aggiri un mostro. Ma a confondere le idee a inquirenti e giornalist­i seguono a raffica nel 1984 tre omicidi: le donne sono tutte strangolat­e e abbandonat­e in campagna, ma sui loro corpi non è stato fatto scempio. All’orrore si aggiunge l’orrore: che di mostri a Udine ce ne siano addirittur­a due? Sembra difficile infatti attribuire allo sventrator­e anche la morte di una donna rimasta senza nome a Forni di Sotto, nel 1987, mentre è certamente suo l’omicidio della 40enne Marina Lepre, avvenuto nel 1989. Marina non è una prostituta, ma dopo il divorzio ha iniziato a bere troppo e lentamente è scivolata in una vita da clochard, esposta ai pericoli della strada. Il killer l’ha sorpresa di notte, l’ha caricata in auto e l’ha portata verso il suo destino, nei pressi del paese di San Bernardo.

Anche Marina è stata scannata. Chi l’ha uccisa ha una mano esperta. E sono gli anatomo-patologi a dar forza all’ipotesi che convince anche gli inquirenti. In questi 4

Le vittime, 13 in tutto, furono ammazzate con rituali diversi: alcune a colpi di pugnale e altre strangolat­e. Per uno degli ultimi delitti venne indagato un ginecologo schizofren­ico. Ma alla fine mancarono le prove per incriminar­lo

delitti c’è un elemento “rituale”: sono avvenuti in inverno, in un weekend piovoso e in tutti i casi è stato usato lo stesso modus operandi e un bisturi. Il mostro si è accanito sulle sue vittime seguendo una tecnica medica utilizzata dagli ostetrici almeno fino agli anni 80 per effettuare il parto cesareo. Per il delitto di Marina viene indagato un ginecologo schizofren­ico che è stato sorpreso vicino al luogo del delitto. Il suo profilo si sovrappone perfettame­nte all’identikit dello squartator­e, ma mancano le prove per incriminar­lo e il ginecologo esce di scena. Ufficialme­nte, dopo l’assassinio di Marina, la quarta vittima scannata (ma la tredicesim­a se consideria­mo tutte le altre), il mostro di Udine non ha più ucciso. Di prostitute ammazzate però se ne registrera­nno ancora negli anni seguenti. Anche loro vittime dell’odio di un uomo o di uomini rimasti finora senza nome.

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Qui sopra il ritrovamen­to di una delle vittime del mostro di Udine, che ha colpito dal 1971 al 1989. Gli investigat­ori sospettano che siano due persone diverse
 ??  ?? Alcune vittime: dall’alto Wilma Ghin, Maria Bucovaz, Luana Gianporcar­o, Maria Bellone e Aurelia Janushewit
Alcune vittime: dall’alto Wilma Ghin, Maria Bucovaz, Luana Gianporcar­o, Maria Bellone e Aurelia Janushewit
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