La fugace malizia di Laura
Vista da dentro: «Sono bassina, un po’ tondetta, ho le gambe piuttosto corte; chissà perché piaccio?», è il ritratto che intimamente narrava di sé a sé stessa Laura Antonelli. Che, vista da fuori, era negli anni a cavallo fra i Settanta e gli Ottanta qualcosa di più di un sex symbol.
Un viso misteriosamente innocente su un corpo di sensuale equilibrio – 1,65 di altezza per 55 chili di morbidezze – che affascinava il pubblico pop ma anche personaggi con molte puzze sotto il naso: Luchino Visconti che la diresse nell’Innocente la trovava «la donna più bella dell’universo». La folgorante parabola di vita di Laura Antonelli, con irresistibile ascesa e dolorante declino, sta tutta nello scarto fra queste due percezioni, la sua, fragile e insicura, e quella degli altri per cui era un sogno fantastico e proibito.
Il suo film Malizia diretto da Salvatore Samperi, uscito nel 1973, incassa 6 miliardi di lire, è ancor oggi all’11° posto nella classifica dei film italiani più visti e la servetta seduttiva e intrigante in calze scure e vestaglietta è stata la gioia degli uomini di più generazioni, dominando le loro fantasie. Il suo cachet era passato da 4 a 100 milioni. Eppure la donna Laura viveva già allora abissi di intima fragilità, quasi un presagio del suo destino («Ho un male nell’anima»), e la chance che la bella profuga di Pola ebbe di misurarsi al cinema in film che spesso onoravano molto quel suo corpo a suo giudizio imperfetto furono quasi una terapia per le sue incertezze estetiche: in Divina Creatura di Giuseppe Patroni Griffi girerà una scena di nudo record di 7 minuti. Confessò poi di aver accettato qualche film più esplicito proprio per mettere alla prova il suo fascino. L’insicurezza covava dunque già sotto lo smalto degli anni del successo.
L’Ortica,