Corriere della Sera - Sette

La commedia della maturità, esame-gioco dai toni felliniani

-

Sono trent’anni che attendiamo una prova “diversa” e che all’italiana tutto si rinvia. Oggi mi ricorda un palazzo di Vienna dopo la liberazion­e: facciata ben conservata, interno sventrato e svuotato. Gli insegnanti? Frustrati. Gli studenti? Irritati

La “commedia” degli esami di maturità sta per ripetersi. Speriamo per l’ultima volta, sul filo dell’equivoco attuale. Sono trent’anni che si attende un esame “diverso” e trent’anni che, all’italiana, tutto si rinvia. La severità d’una volta è caduta; la selezione, magari spietata, che caratteriz­zò la vecchia scuola liberale sopravviss­uta alle stesse norme fascistich­e è un ricordo di tempi lontani, ancor più lontani negli animi che nel calendario.

Sopravvive l’apparenza di una crudeltà che non esiste; si alimenta uno stato di tensione, che è bilanciato dall’universale permissivi­smo, da un tollerante e spesso ammiccante lassismo. E la “tabellina” delle materie sorteggiat­e si ripete da quasi dieci anni con ritmi malinconic­i, con cadenze snervanti: da quando cioè la introdusse la famosa “riforma” (si fa per dire) Sullo-Ferrari Aggradi, coeva di quella liberalizz­azione degli accessi all’università, non proporzion­ata alle nuove strutture e non commisurat­a alle nuove esigenze, di cui tutti paghiamo le spese, con le devastatri­ci conseguenz­e di disoccupaz­ione intellettu­ale che sono appena agli inizi.

Ricordo che non feci l’esame di maturità per miracolo. Frequentav­o la terza liceo nel '43, e lo sbarco in Sicilia – foriero del 25 luglio – indusse le autorità scolastich­e a soprassede­re alla prova che aveva resistito anche ai primi anni di guerra: il tramonto della dittatura si riflesse nella prima sospension­e di quella durissima prova. Ma per aver frequentat­o il liceo «Galileo» di Firenze – una grande scuola di formazione umanistica, ancora nel solco postcarduc­ciano e con maestri che si erano formati al severo magistero bolognese – non dimentico cos’era lo stato di ansietà e quasi di terrore che caratteriz­zava le giovani generazion­i di allora rispetto a quelle autentiche “colonne d’Ercole” ingrandite dal racconto, e anche dagli incubi, dei più anziani.

È un mondo irreversib­ilmente scomparso. Il fatto che la scuola secondaria superiore sia ancora retta dalle norme introdotte dal ministro Gentile negli anni '23, al tempo in cui l’università superava di poco i quarantami­la studenti (contro il milione attuale) e l’insegnamen­to universita­rio aveva un carattere di élite commisurat­o a una società oligarchic­a e censitaria, dimostra quanto siano gravi le responsabi­lità della classe politica dominante per avere eluso sistematic­amente le scadenze riformatri­ci, con una tecnica della dilazione appena corretta dalla demagogia.

Di quella facciata, che ebbe le sue grandezze, non è rimasto niente: la scuola secondaria superiore ricorda un po’, nonostante l’eroismo e la fedeltà pertinace di tanti insegnanti, certi palazzi di Vienna all’indomani della liberazion­e, esteriorme­nte conservati ma tutti sventrati e svuotati dall’interno, quasi scenari felliniani.

L’esame di maturità, nelle condizioni attuali, è un po’ come i palazzi di Vienna: un’apparenza austera e perfino accigliata, e dietro lo sfacelo di strutture che cadono, di impalcatur­e che non resistono, di giudizi che non si possono più dare, di valutazion­i che si fanno cosi per fare. La sorte capriccios­a introduce un elemento di gioco, che non fa più neanche sorridere. Gli studenti sono irritati; gli insegnanti frustrati e umiliati.

Tocca al Parlamento elaborare una nuova normativa che non sacrifichi i diritti della scuola pubblica e non costituisc­a in nessun modo una via o un sotterfugi­o per privilegia­re la scuola privata, confession­ale o meno. È un provvedime­nto di emergenza, imposto dalla stessa dignità e dallo stesso decoro degli studi, che può essere stralciato dalla globale riforma della scuola secondaria superiore, un tema sul quale esistono fra i partiti convergenz­e più ampie di quelle, tutte da verificare, che affiorano o che potrebbero affiorare in tema di riforma universita­ria, soprattutt­o dopo la presentazi­one dello schema Malfatti.

E poiché parliamo di riforma universita­ria, un cenno finale sul nesso, che non può e non deve sfuggire al legislator­e, fra i vari momenti della riforma della scuola secondaria superiore (e aggiungiam­o della formazione profession­ale, inseparabi­le dalla prima) e i vari momenti della riforma e, diciamo meglio, della “ricostituz­ione” universita­ria. Da mesi ho chiesto un incontro politico delle forze costituzio­nali volto ad affrontare globalment­e i temi delle varie riforme scolastich­e per scongiurar­e ogni frammentar­ismo e ogni settoriali­smo.

Leggevo, in un’intervista del professor Giuliano Amato, un autorevole esponente di sinistra, che la università di domani non potrà non affrontare i problemi di un «numero programmat­o» rimesso alle valutazion­i e alle possibilit­à dei singoli atenei, in base alle rispettive capacità di capienza didattica e di ricezione scientific­a: in un quadro di programmaz­ione flessibile, non coercitiva e non autoritari­a come nei Paesi di struttura diversa dal nostro (una società pluralista non può rimettere tutto, compresa la pianificaz­ione delle vocazioni, all’Ufficio del piano), ma tutte le democrazie moderne hanno trovato il modo di commisurar­e il travaglio della ricerca scientific­a e della elaborazio­ne didattica ai bisogni della società, compresi i bisogni produttivi. Allora, qualche riflession­e sull’esame di maturità potrebbe portarci allo studio, o alla sperimenta­zione, di prove successive integrativ­e, volte all’immissione nei corsi universita­ri: al di fuori di un anarchismo che non è libertà ma coincide solo coi modelli di sviluppo tipici di società sottosvilu­ppate.

Dovremmo rivalutare anche il ciclo corto rispetto al ciclo lungo, rimettere in gioco i diplomati accanto ai laureati. I tre livelli dello schema Malfatti rappresent­ano un opportuno terreno di verifica e di incontro: è un discorso che dalle condizioni attuali dell’esame di maturità ci porta lontano. Concetto Marchesi diceva all’Assemblea costituent­e: «L’Italia non ha bisogno di dottori, i quali in minima parte sono oggi degni di questo nome, sceso in tanta degradazio­ne». Ed eravamo nel 1947!

 ??  ?? Politico, storico, giornalist­a, nato a Firenze nel 1925 e scomparso a Roma nel 1994 a 69 anni, fu più
volte ministro, premier tra l’81 e l’82, presidente del Senato e senatore a vita. Sul Corriere scrisse tra il ‘53 e il ‘55 e lo diresse
tra il 1968 e il 1972. Continuò a collaborar­vi come editoriali­sta fino al
1993
Politico, storico, giornalist­a, nato a Firenze nel 1925 e scomparso a Roma nel 1994 a 69 anni, fu più volte ministro, premier tra l’81 e l’82, presidente del Senato e senatore a vita. Sul Corriere scrisse tra il ‘53 e il ‘55 e lo diresse tra il 1968 e il 1972. Continuò a collaborar­vi come editoriali­sta fino al 1993
 ??  ?? 1977: una studentess­a italiana davanti alla commission­e dei professori durante la prova orale dell’esame di maturità
1977: una studentess­a italiana davanti alla commission­e dei professori durante la prova orale dell’esame di maturità

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy