Milano torna rap, Roma resta in relax
La fine dei Dpcm non l’ha cambiata quasi per niente rispetto ai giorni della clausura. Appare anzi come se si fosse liberata con sollievo di tutte le fastidiose incombenze della vita quotidiana che prima la sporcavano e la incasinavano: le scuole sono chiuse da mesi, la gran parte dei dipendenti pubblici sta ancora in smartworking, i bancari ricevono solo su prenotazione, ammesso che riesci a contattare il numero verde. Soprattutto la Capitale si è scrollata di dosso la mole dei turisti stranieri, e la risacca di esseri umani ha lasciato vuote piazze e trattorie, fontane e fast food, interi quartieri trasformati in bed&breakfast e ora innaturalmente inanimati, irrigiditi nelle loro architetture, forse morti. Magari era un giugno sonnacchioso come questo, quello in cui il signor Meis del Fu Mattia Pascal cercò una stanza in affitto in via Ripetta, e si sentì fare dal padrone di casa il seguente discorso: «Il destino di Roma? I papi ne avevano fatto un’acquasantiera; noi italiani ne abbiamo fatto, a modo nostro, un portacenere; d’ogni paese siamo venuti qui a scuotervi la cenere del nostro sigaro». Se oggi
Pirandello potesse rivedere Roma forse la troverebbe miracolosamente svuotata della cenere e dei mozziconi di sigaretta, veri e metaforici, che la insozzano. Ma ciò non vuol dire che sia tornata a essere una acquasantiera: è semplicemente un portacenere svuotato e nemmeno lavato.
Questa condizione di sospensione, di vuoto, si attaglia perfettamente all’epoca Raggi. La sindaca ci sta talmente a suo agio che forse non a caso proprio in questi giorni ha maturato l’idea di ricandidarsi. Tra il disfare del malaffare che la rivoluzione grillina aveva promesso, e il semplice fare del governare che già sarebbe stato qualcosa, la sindaca a cinque stelle ha chiaramente scelto il non fare. E non è detto che la cosa sia poi tanto dispiaciuta ai romani. La città eterna ha assorbito anche l’ultimo esperimento politico, l’ha ingerito e digerito, vedremo se ci sarà alla fine anche la reiezione. Ma per il momento di politica qui non si occupa nessuno.
A Milano invece si litiga, ci si accusa a vicenda, si è riaperta la fabbrica di inchieste delle procure, saltano teste di dirigenti regionali, crollano miti di buon governo: in una parola, si è ripreso a vivere. Rispetto al disfare e al non fare di Roma, l’unico rischio che corre la Capitale del Nord è magari quello di strafare. «Ho una voglia assurda/ di stare tra la gente, urlare come in curva/ stare in strada a ballare/ entrare a ogni festa/ adoro il traffico della città/ il mio odio per la gente è sparito come i no- vax», ha ripreso a cantare J-Ax. Milano è già di nuovo rap. Roma è ancora in pieno relax.
Basta avere una raccomandata da ritirare alle poste, o un bollettino da pagare in banca, o una informazione da chiedere all’Inps, per capire che tutte queste chiacchiere su Roma che forse scavalcherà Milano nel dopo-Covid sono, per l’appunto, solo chiacchiere. La città è placida, opulenta, adagiata come un’odalisca su un letto di ignavia, ancora caldo di lockdown.