I “miracoli” anti Covid e il tacchino di Russell
Tra i tanti animali che popolano i bestiari dei filosofi c’è anche il tacchino induttivista. Ogni giorno, alle nove, piovesse o ci fosse il sole, d’estate e d’inverno, a un tacchino veniva portato il cibo. Porta il cibo oggi, portalo domani, il tacchino non si trattenne dal ricavarne una conclusione generale:
che per tutta la sua vita, alle nove, avrebbe ricevuto il cibo. La vigilia di Natale scoprì che non era così. È una storiella inventata da Bertrand Russell, per metterci in guardia da un errore tipico. Il ragionamento più diffuso che facciamo è quello che, tecnicamente, si chiama induzione: indurre, ricavare, da una serie di casi particolari una conclusione di carattere generale, che vale per tutti quei casi. Come il povero tacchino anche noi usiamo questo ragionamento spessissimo, senza quasi pensarci. In filosofia sta alla base del cosiddetto empirismo, la teoria secondo cui la conoscenza ha origine dall’esperienza dei sensi. Osservando giorno dopo giorno cigni bianchi arrivo alla conclusione che i cigni sono bianchi; e facendo esperienza del fatto che gli uomini muoiono ne ricavo la conclusione generale che gli uomini sono mortali. Fino a che incontrerò un cigno nero (un altro animale amato dai filosofi) e la mia teoria andrà in frantumi. Non posso dunque escludere che domani incontrerò un uomo immortale? In linea teorica no, non posso escluderlo, se mi fondo solo sulle sensazioni. Per questo una lunga tradizione di filosofi, che hanno i loro capofila in Platone, Cartesio e Leibniz si sono rifiutati di concedere valore alle sensazioni. La conoscenza non può fondarsi