Un «vocabodiario» dei giorni del virus
MI PIACE PENSARE A QUESTO SPAZIO come a una specie di diario. Un diario linguistico, in cui riflettere – grazie a voi e ai vostri spunti – su tanti aspetti del nostro amato italiano. Un diario in cui ritrovarsi insieme ogni venerdì per parlare di parole. Un diario settimanale, dunque: anche se, dal punto di vista dell’etimologia, l’espressione è un po’ contraddittoria; proprio come giornale settimanale, d’altronde.
Diario e giornale, infatti, condividono la stessa etimologia e sono stati a lungo – sono, ancora in parte – sinonimi. Pensiamo a casi come quello del diario o giornale di bordo, o al fatto che a scuola c’è ancora il diario o giornale (o registro) di classe: anche se purtroppo quest’anno in classe ci si è stati ben poco.
Diario è un latinismo: da diarium (a sua volta da dies, giorno) usato in principio come aggettivo, poi anche come sostantivo col senso di registro di annotazioni tenute giorno per giorno. In questo senso è attestato in italiano almeno dalla metà del Cinquecento. Nello stesso periodo si diffonde – nello stesso significato – anche la parola giornale, che viene da giorno, che a sua volta viene dal latino diurnum, che deriva – in ultima analisi – dallo stesso dies di prima. Non a caso, il letterato toscano Leonardo Salviati parla nel 1573 di «diario o giornale ,a dire al modo nostro».
Caro diario...
L’uso più antico è quello di giornale del banco, in senso contabile, attestato già alla fine del Trecento nelle scritture mercantili. Quello più recente è l’uso di giornale nel senso di pubblicazione periodica, che comincia solo verso la fine del Seicento sull’esempio del francese journal. E proprio sul modello del francese journal intime viene – tra Sette e Ottocento – l’abitudine del giornale privato, personale, concepito quasi come un quotidiano dialogo con sé stessi. «Il giornale in genere», scriveva D’Annunzio, «è la descrizione degli avvenimenti reali, la cronaca dei giorni felici e dei giorni tristi». Anche le prime attestazioni di diario nel senso di giornale intimo risalgono ai primi dell’Ottocento. «Ancora conservo una specie di diario che per alcuni mesi avea avuta la costanza di scrivere annoverandovi non solo le mie sciocchezze abituali di giorno in giorno, ma anche i pensieri, e le cagioni intime», ricorda Vittorio Alfieri in una pagina della sua autobiografia.
Solo a partire dal Novecento, invece, s’incontra la formula d’apertura Caro diario: tanto da destare il sospetto che il modello possa essere l’inglese Dear diary, piuttosto diffusa già dal secolo precedente.
Tutti i diari sono fatti di parole, ovviamente: ma come chiamare un diario in cui, come in un vocabolario, annotiamo riflessioni sulle parole che in un certo periodo scandiscono la nostra vita? Rileggendo quello che ho scritto durante il periodo più difficile dell’emergenza da coronavirus, a me è venuto in mente che si poteva definire «vocabodiario». E voi l’avete tenuto un vocabodiario di quei giorni così lunghi? Quali parole e quali riflessioni ci avete annotato? Se vi va di raccontarcelo, scrivete a lettereasette@rcs.it.
QUALI SONO SECONDO VOI LE PIÙ SIGNIFICATIVE TRA TUTTE LE PAROLE CHE HANNO SCANDITO LA VITA IN EMERGENZA?