«OGGI DIREI NO ALLA MORTE DELL’ASSASSINO DI MIO PADRE. VORREI PARLARE CON LUI, L’ULTIMO AD AVERLO VISTO VIVO»
C’è una cattiva notizia per le cattive scuole di scrittura: il manuale di Chuck Palahniuk, Tieni presente che, sbugiarda i corsi farlocchi di editor e scrittori narcisi. Ma c’è anche una buona notizia per le buone scuole di scrittura: le lezioni e gli esercizi dell’autore di Fight Club, Survivor e Soffocare ora sono disponibili in volume, non vanno più cercate online. Il libro (in Italia per Mondadori) è anche l’autobiografia di un uomo che ha sublimato nella scrittura capitoli strazianti della sua vita, che fanno apparire Fight Club un gioco da tavolo (e come tale nacque, ci rivela). Il sottotitolo è eloquente: Momenti nella mia vita di scrittore che hanno cambiato tutto. Palahniuk il cui cognome ucraino
— va pronunciato come l’unione dei nomi dei nonni paterni, Paula e Nick squaderna letture e scritture
— sue e del gruppo allargato di amici, colleghi, parenti e fan con cui ha condiviso la passione per lo storytelling, a partire dal suo maestro Tom Spanbauer, allievo di Gordon Lish. Un largo gruppo di autoascolto e supporto, come i tanti che Palahniuk ha frequentato: sessodipendenti, alcolisti anonimi... La formula del suo stile informale ricorda il margarita: 3 dosi di azione/descrizione (tequila), 2 dosi di istruzioni e dialoghi (triple sec) e 1 dose di onomatopee ed espressioni del parlato (lime). Cosa manca? Il sale, certo. E cos’è il sale? Palahniuk non lo dice esplicitamente, tanto gli esce dalle tasche, sale grosso, da cucina: è la vita vera, che brucia sulle ferite proprie o degli altri.
Alla fine di ogni paragrafo, poi, traduce ogni riflessione in regole o esercizi pratici: in fondo, c’è una tabella che ricorda un manuale d’uso, di quelli che accompagnano gli elettrodomestici. Un senso pratico che Palahniuk ha sviluppato quando da operaio alla Freightliner di Portland, la città dove è cresciuto (è nato invece a Pasco, Washington, nel 1962). Scriveva anche manuali tecnici, come ci racconta al telefono, dalla sua casa sulla costa del Pacifico. La voce è lieve, come una brezza. Il silenzio nelle pause è magnetico, ti risucchia come onde.
Lei ha lavorato 13 anni in fabbrica. La lezione più importante?
«Di vita? C’erano delle gatte che con il freddo si rifugiavano in fabbrica, dove facevamo assemblaggio camion, e partorivano lì. L’azienda invitava a buttare i gattini nel tritarifiuti, ma noi li nascondevamo e nutrivamo finché non erano grandi. Nascondevamo gli indifesi».
E una lezione di scrittura?
«La scrittura di manuali meccanici mi ha insegnato a suddividere un’azione fisica, un processo in piccoli e tangibili passaggi che possono essere comunicati al lettore. Così