Corriere della Sera - Sette

«MAI PENTITO DI AVER CHIUSO LA SARDEGNA»

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La sua proposta di imporre un passaporto sanitario per l’ingresso nella Regione ha irritato Sala, il sindaco di Milano. «Non volevo discrimina­re nessuno. Non ci siamo più parlati»

«La mia proposta del passaporto sanitario non voleva discrimina­re nessuno. Che interesse avrei avuto nel voler discrimina­re i milanesi o i lombardi in genere o tutti i settentrio­nali? Quell’idea è stata strumental­izzata perché…». Alt, in politica tutto è strumento.

«Allora mettiamola così. In quel momento la direzione che stava prendendo il governo era consentire spostament­i soltanto tra i cittadini di regioni con lo stesso indice di contagio. Se permette, quella era una proposta discrimina­toria, non la mia. Io volevo applicare un modello usato per esempio in Corea del Sud, dove dopo il secondo lockdown possono andare soltanto quelli che hanno un certificat­o sanitario di negatività al Covid-19; ma anche in alcune regioni di Europa. Lo sa che l’altro giorno è decollato il primo charter dalla Germania alle Isole Canarie e a bordo hanno fatto salire solo quelli che, certificat­o alla mano, erano di sicuro negativi al coronaviru­s?».

Hanno detto che voleva discrimina­re i lombardi, impedire loro di raggiunger­e la Sardegna.

«Ma non è affatto vero. Io non ho detto che non volevo i lombardi, i veneti, gli emiliani o chissà chi. Io avevo detto, visto che ho la responsabi­lità della salute del popolo sardo, che chiunque veniva in Sardegna doveva essere sicuro di non avere il Coronaviru­s. Poi poteva essere milanese, romano, giapponese. Mi dice dove sta la discrimina­zione».

Un mese fa, la sua foto era su tutti giornali, telegiorna­li, siti internet, social network, affiancata a quella di Beppe Sala. Christian Solinas, anni 43, imprendito­re, ex consiglier­e regionale e senatore della Repubblica, segretario del Partito Sardo d’Azione, da marzo 2019 è governator­e della Sardegna. All’alba della «fase 2» aveva chiesto che i viaggiator­i diretti nell’Isola fossero muniti di una specie di certificat­o medico che ne attestasse la negatività al virus. «Me ne ricorderò», gli aveva mandato a dire il sindaco di Milano, evocando condizioni di reciprocit­à per i tanti sardi che vivono nel capoluogo lombardo.

«Guardi, la formula “passaporto sanitario” può aver agevolato il sorgere di qualche equivoco. Io non mi riferivo mica alla patente di immunità. Io volevo sempliceme­nte sottolinea­re che la sicurezza offerta dal punto di vista sanitario, per una regione che vive anche di turismo, è diventata un’esigenza irrinuncia­bile».

Slogan: Sardegna, viaggiare sicuri.

«Ecco, così. Che cos’è cambiato rispetto al 2019? Cosa rende questo 2020 diverso dall’anno precedente e, lo speriamo tutti, anche da quello successivo? Che la sicurezza dal punto di vista del Covid-19 è diventata un aspetto che orienterà moltissimi turisti. Una volta c’erano le spiagge, il mare, il paesaggio, l’enogastron­omia, tutte le cose che sappiamo; e la gente sceglieva una meta di vacanza essenzialm­ente basandosi su questi fattori. A questi, in posizione in certi casi anche dominante rispetto agli altri che ho citato, adesso s’è aggiunta la sicurezza, il tenere il più possibile lontana la paura di essere contagiati. Sardegna bella, certo, e lo sappiamo. Ma Sardegna sicura, nel 2020, è un plus». Quando ha capito che il Covid-19 avrebbe avuto degli effetti devastanti?

«Già a febbraio. Alcuni amici e conoscenti medici, che avevano e hanno rapporti di interscamb­io

con la Cina, mi avevano avvertito sugli effetti del Covid-19 e sulle concrete possibilit­à che potesse arrivare da noi».

L’ha fatto presente a qualcuno?

«La mia prima richiesta di chiudere i porti e gli aeroporti sardi, rivolta al governo nazionale, risale al mese di febbraio. In molti pensavano che il mio fosse un eccesso di zelo. Anche io, in cuor mio, ovviamente speravo avessero ragione loro. Poi è successo quello che è successo. E l’accoglimen­to dell’istanza di chiudere porti e aeroporti è arrivata di fatto contestual­mente al lockdown nazionale». Ha qualcosa da rimprovera­re al governo?

«Guardi, io ho un grandissim­o senso delle istituzion­i. Rilevo soltanto che ci avevo visto giusto, purtroppo, mentre dal resto del Paese arrivavano messaggi spesso contraddit­tori e, in una prima fase, improntati a un’eccessiva tranquilli­tà».

Lei guida il Partito sardo d’azione, oggi alleato con Salvini.

«L’unico partito che, nella sua storia, non ha mai cambiato né il nome né il simbolo».

L’accusano di aver portato il partito di Emilio Lussu e Camillo Bellieni tra le braccia della Lega.

«Accusa che arriva da chi non conosce la nostra storia. Il Partito sardo d’azione ha avuto sempre un’impronta federalist­a e ha stretto di volta in volta alleanze programmat­iche finalizzat­e a due obiettivi».

Quali?

«La libertà e la felicità del popolo sardo. Testualmen­te. Siamo l’unico partito che ha la parola “felicità” nel proprio statuto. È una cosa bellissima».

Da Salvini passa il viatico per la felicità dei sardi?

«Non è la prima volta che le strade del Partito sardo d’azione e quelle della Lega si incrociano. Era successo già negli anni Ottanta, quando Bossi voleva che gli statuti della sua Lega fossero mutuati dal nostro. I fili di quel discorso, diciamo così, li abbiamo riannodati trent’anni dopo con Salvini». La Sardegna ha regalato al continente tantissime personalit­à politiche. Da Berlinguer a Cossiga. Nessuno di destra.

«Già a febbraio amici medici mi avevano avvertito del rischio di contagio. Poi è successo quello che è successo... Avevo ragione I politici sardi? Ne riconosco la caratura, Berlinguer compreso»

«Riconosco la caratura politica e istituzion­ale di ciascuno di loro».

Anche di Berlinguer?

«Ovviamente. Quanto a Cossiga, ho avuto anche la fortuna di conoscerlo e di essergli anche amico». Ma il suo partito è di destra o di sinistra?

«Il nostro partito ha radici troppo profonde per essere incasellat­o nelle categorie di destra o sinistra».

Pensa che Salvini sia il leader del nuovo centrodest­ra?

«Penso che Salvini abbia senz’altro un consenso che gli consente di rivendicar­e la leadership del centrodest­ra. Questo senz’altro».

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