Corriere della Sera - Sette

Vita nei buchi da uomini-formica La vergogna (risanata) dei Sassi di Matera

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Da occhi di favi nel mastice giallognol­o vedevo uscire uomini, asini, bambini. Fino a Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi noi giovani non conoscevam­o questa realtà. Ma ora le grotte sono state svuotate o murate e chi le abitava è entrato in case vere

Matera è forse la città sulla quale con maggiore intensità si è svolta una serrata polemica sociale. Essa deve la sua celebrità alla riscoperta dei Sassi che ne fece il Levi nel suo libro Cristo si è fermato a Eboli.

Matera divenne il centro di quella misera regione che doveva trasformar­si, subito dopo, in riserva di caccia di innumerevo­li scrittori populisti, di brillanti giornalist­i in cerca di temi forti e risonantl, persino di cinematogr­afari, che si buttarono sull’orrendo paesaggio di Matera e ne cavarono il film La lupa, alquanto brutto. Ma la questione vera e propria sorse tra partiti al governo e partiti di sinistra all’opposizion­e: turbolenti testimoni, i materani.

Il nome Matera finì per significar­e soltanto «i Sassi»; i quali, visti da vicino, per la verità, superavano, nel senso dello spettacolo­so orrido, qualsiasi abile o appassiona­ta descrizion­e. Inserendom­i nella scia altrui, nel 1952, partii anche io alla volta di Matera, preparato a tutto e senza una sola illusione. Misi le mie tende in un vecchio albergo, che ha le fondamenta scavate in uno dei due Sassi, il Caveoso e il Barisano.

Vi giunsi di notte e, vinto dalla stanchezza, non cacciai neanche la testa fuori della finestra. Il mattino seguente fui svegliato, come un personaggi­o di un libro romantico, dal canto degli uccelli. Era primavera! Ma aprire la finestra della mia camera e ricevere negli occhi lo spettacolo fu una sola cosa. Ne restai così preso che mi lavai, rasai e vestii senza spostarmi dalla finestra.

Sotto di me si apriva un cono capovolto sulle cui pareti, a strettissi­mo giro, fin giù al vertice conficcato nel punto più profondo, correvano centinaia e centinaia di, per così dire, buchi o occhi di favi in una materia che, dalla finestra, più che dura dava l’idea di essere molle come un mastice giallognol­o. In certi buchi, che con nessuna aridità di cuore si potevano chiamare case, doveva ancora regnare il sonno; o vi era l’abbandono. Da un altro buco un essere vivente stava per uscire. Da un altro ancora era sbucata la testa di un asino e dovunque, ogni tanto, ne scappava fuori qualcuno, o più d’uno, che usciva e entrava. Da una grotta uscì un uomo vestito di nero, guardò il cielo per accertarsi se fosse bello o cattivo tempo, e sedette su una pietra accanto all’uscio come per restarvi finché non fosse scomparso il sole. Da un’altra grotta, che stava a picco sotto di me, uscì un uomo su un mulo e due bambini gli andavano dietro a piedi sul viottolo. Lungo i viottoli già c’erano molti uomini e donne seduti. Il sole si era fatto grande. Il cinguettio degli uccelli assordante. E la nitida trombetta del fornaio

se ne era andata nell’altro Sasso. Dopo poco il Sasso che stava ai miei piedi fu completame­nte sveglio e il numero delle persone e il loro agitarsi sembrava lo stesso di un formicaio molto attivo.

Più nessuna emozione

Quando, più tardi, mi mescolai a quegli uomini-formiche, vedendo da vicino buco per buco si esaurì dentro di me anche la meraviglia e, quasi, non provai più alcun sentimento, alcuna emozione. Era un fatto troppo grave; e incredibil­e che una simile situazione potesse durare da tanti secoli. Noi italiani delle nuove generazion­i non ne sapevamo nulla e se non fosse stata resa pubblica la denuncia del Levi saremmo restati nell’ignoranza. Gli altri, i nostri padri, erano stati sempre al corrente della situazione.

Il fatto più singolare per me consisteva nell’essere scambiato per un americano. Le donne, donne che a metterci un elmo militare in testa sarebbero state scambiate per uomini, si rivolgevan­o a me in una strana lingua, che avrebbe voluto essere l’inglese, soltanto perché si avvedevano che ero un forestiero ben vestito e con la macchina fotografic­a a tracolla. Non mi lasciavano camminare. Imploravan­o che visitassi i loro buchi, che prendessi nota, che facessi insomma qualche cosa per sollevarle dal loro stato. Non credevano ad altro che all’intervento e alla pietà americana. Stavo appunto visitando una misera stanza dove vivevano dodici persone quando fui afferrato da una vecchia che disse:

– La casa della comare è una reggia in confronto alla mia. Di che si lamenta? Ha dieci figli, dieci lupi che la proteggono. Venite a vedere la mia.

Dovetti seguirla e giunto alla sua casa mi fece entrare in una grotta a forma di parallelep­ipedo, che il tetto non si scorgeva e finiva in un buio indefinito. Poteva essere lunga tre metri, larga, forse, due, alta, dico a caso, per darvi un’idea, trenta metri. C’era dentro la figlia, seduta. Un bambino come un verme le stava ai piedi. Un altro, in grembo. Quello ai suoi piedi aveva un gestire e i lenti movimenti di un bruco ancora spoglio, come i vermicini che escono dai frutti marci. L’altro giocava con la mammella avvizzita della madre. E quella donna aveva venti anni, non quaranta come io avevo stimato dalla prima occhiata. Aveva la faccia di una castagna secca e le due orecchie erano due bucce pendule. Guardava incantata me e la madre.

– Vedete, non si può restare più qua sotto – disse la madre. – Qui tutto è umidità –. Il muschio saliva e scendeva in grosse e folte strisce sulle... pareti. – Questa è la carta del comune,

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Strega nel 1993 per Ninfa plebea, scrisse su Corriere d’Informazio­ne e Corriere della Sera dal
1956 al 1972
Lo scrittore e giornalist­a napoletano (1921-1994), Premio Strega nel 1993 per Ninfa plebea, scrisse su Corriere d’Informazio­ne e Corriere della Sera dal 1956 al 1972
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Berengo Gardin, bambini giocano sulla pietra della Murgia nei Sassi di Matera, già in parte risanati dalla condizione di formicaio umano nel quale la gente viveva
in grotte anguste e umide in condizioni di
estrema miseria
Nella foto d’autore del 1958, di Gianni Berengo Gardin, bambini giocano sulla pietra della Murgia nei Sassi di Matera, già in parte risanati dalla condizione di formicaio umano nel quale la gente viveva in grotte anguste e umide in condizioni di estrema miseria

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