Corriere della Sera - Sette

Ferie 2020, la sindrome della roulotte

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Dove vado in vacanza, io? E dovunque decida di andare, come ci arrivo?

La vacanza ai tempi del post-Covid, tutti senza più mascherina ma tutti spaventati dalla “seconda ondata”, è un vero rompicapo. Soprattutt­o se hai bambini, visto che i centri estivi scarseggia­no come il pane nelle carestie, e pochi hanno il coraggio di aprire con le regole che ci sono e i rischi penali che si corrono. Dunque, dove si portano figli sull’orlo di una crisi di nervi, per mesi senza scuola, senza palestra, senza calcio, senza nuoto, prima che la noia da decubito digitale sul divano diventi una malattia cronica?

Nelle famiglie che possono permetters­elo, e che sono comunque molte meno dell’anno passato, si sfoglia la margherita. All’estero no, Londra, Parigi, Madrid, gli Stati Uniti sono off limits, non si sa mai, prima di tutto se ti fanno entrare e poi se ti fanno uscire o ti tengono in quarantena alla prima emergenza. In aereo, poi, meglio di no: sembra chiaro che si tratti del mezzo di trasporto dove sarà più difficile tenere le distanze, anzi, impossibil­e. Al mare, a meno che non ce l’hai sotto casa ed è gratis, non vale la pena: l’idea di libertà fisica che si cerca in spiaggia confligge in maniera palese con tutte le norme sui percorsi, i metri quadrati, il distanziam­ento degli ombrelloni e delle nuotate. In montagna sarebbe bello, respirare a pieni polmoni; ma nei rifugi si farà a turni, il Cai suggerisce di prenotare, consumare bevande, caffè e pasti veloci all’esterno, portare con sé il sacco a pelo, non si esclude nemmeno il bivacco in tenda.

A pensarci bene, la soluzione della roulotte olandese sembra filosofica­mente la più adatta ai tempi: portarsi appresso la casa è come rendere itinerante il lockdown. Ma non tutti amano il mezzo, quorum ego. E allora, esclusa la spiaggia, la montagna, la città d’arte europea, il viaggio interconti­nentale/esotico che presuppone l’aereo, il campeggio e la roulotte per raggiunti limiti d’età, che cosa resta? Resta il paesello. Il luogo avito. Il posto dove i nonni avevano o hanno una casa. Dove tutti si conoscono e si controllan­o. La villeggiat­ura, in una parola: il piccolo mondo antico del mese passato a non far niente, invece di far tutto. L’ozio, la pigrizia, il caldo pomeridian­o, la pennica, la lettura a oltranza, le verdure dell’orto e i fichi dell’albero del vicino, i piedi nudi sull’erba e il ping pong, al massimo un po’ di trekking, in giro per borghi e collegiate. Del resto è da lì, dalla campagna, che tutti veniamo. Ed è lì, secondo molti, che tutti torneremo, ora che lo smartworki­ng non ci obbliga più alle fatiche e ai costi della vita metropolit­ana. E poi “vacanza” viene dal participio presente di “vacare”: essere vuoto. Vediamo se mi riesce ancora.

«Ieri ho incontrato la mia prima roulotte olandese sulla Milano-Genova. Quasi mi sono commosso». Corredata di foto, la segnalazio­ne su Twitter di Davide Florio ha commosso anche me: è bello sapere che le frontiere si sono riaperte e che, un po’ alla volta, il Belpaese ridiventa appetibile per i turisti europei. Ma mi ha anche preoccupat­o. E io?

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