Corriere della Sera - Sette

MARC QUINN

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Lo scultore e pittore britannico racconta quanto il lockdown abbia cambiato il suo modo di vedere il mondo. E di lavorare. «Eravamo come drogati, ho rimesso a fuoco tutto». E sulla furia distruttri­ce ammette: «Dobbiamo ricalibrar­e ciò che mostriamo in pubblico»

Intervista in giardino, via Zoom, con sottofondo di cinguettii. Durante questo lockdown Marc Quinn, artista inglese (noto anche per aver effigiato nel marmo Kate Moss) ha dipinto i Viral Paintings, tele riferite al momento storico del coronaviru­s e a un vissuto collettivo. «Ho tratto queste immagini dall’online più che da Instagram. A volte trovavo storie intense, immagini molto forti, crude, a volte fatti che non toccavano eventi mondiali ma la tua vita privata. Poi, con una grande stampante a pigmenti le ho trasferite sulla tela, a volte aiutato da mio figlio. Ma ero poi io stesso a preparare la tela, cosa che non facevo da molto tempo». In fondo, gli artisti coltivano sempre un senso di onnipotenz­a sulla vita, ma lui si è sentito molto vulnerabil­e, come tutti noi. «Però nel momento in cui mi sono sentito capace di creare, ho capito che avevo una direzione e che potevo gestire tutta quanta la situazione. Avevo un mio rituale: mi alzavo, guardavo al cellulare le varie storie, andavo in studio, stampavo le immagini prima che svanissero dalla rete, poi pranzavo, ritornavo in studio a lavorare. Mi sentivo un po’ come un attore che doveva prepararsi a una recita ma senza pubblico, dipingevo per tre ore ancora con la radio accesa ad altissimo volume, sintonizza­ta sul programma h24 della BBC. Finivo esausto e guardavo poi il dipinto solo il giorno dopo. Tutto molto terapeutic­o. C’era come più purezza, più semplicità rispetto a prima. E queste sensazioni voglio preservarl­e anche per dopo».

Il virus ha agito nelle nostre vite e nella nostra società come un hacker. «Sì. Il lato positivo è che avevo molto tempo per dipingere, non dovevo viaggiare per le mostre o fare altre cose. Ero da solo nel mio studio, quindi sono riandato alle origini della mia pratica artistica, e questo mi ha potenziato. È stato un momento di ristoro, ricalibrar­e, risettare è la chiave di un nuovo modo di comprender­e il mondo. Sarebbe bello averne uno nuovo, sono preoccupat­o che torni quello di prima. Saranno molto importanti l’ecologia, i diritti delle minoranze».

Il mondo accelerato di prima gli appare oggi un po’ pazzo.

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di rifugiati, come il siriano Hassan Akkad
Con 100 Heads (teste in cemento), Quinn ritrae volti di rifugiati, come il siriano Hassan Akkad

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