Corriere della Sera - Sette

LIA RUMMA

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Anni 60 a Salerno, con Marcello sono potenti, belli, invidiati. Poi il suicidio di lui, lei che ricomincia come insegnante nella parte più scomoda di Napoli, Secondigli­ano. Nel 1971 la sfida di una galleria in un ex garage. «Burri o Beecroft, Kentridge o Neshat: vado al cuore. In fondo, io sono un’artista fallita, la parola collezioni­sta non mi piace»

Tre le ricorrenze da festeggiar­e: gli ottant’anni (compiuti l’8 maggio), i dieci anni del cubo-galleria in via Stilicone a Milano e la fine della quarantena.

Lia Rumma, lei riparte nel segno della Sibilla.

«Con la personale di William Kentridge, Waiting for the Sibyl and other histories nel white cube di Milano».

Una figura mitologica proiettata nel futuro.

«Annunciatr­ice di catastrofi, sì, ma anche una elargitric­e di profezie. Ho sempre cercato quella linea magica tra la realtà e la possibilit­à, ho vissuto con i nervi tesi, tra gigantesch­e cadute e gloriose risalite». Per esempio?

«Napoli, anni Settanta. Non avevo un soldo, ma nonostante questo io certi quadri non li volevo vendere. Perché? Perché erano miei, mi appartenev­ano, anche a costo di saltare la cena. Un giorno capita un signore in galleria. Mi dice: voglio quello. Indica un monocromo alla parete. Non se ne fa nulla, gli dissi. Lui prese un assegno e ci scrisse una cifra sproposita­ta. Ci creda o no, era l’esatto importo che mi occorreva per pagarmi la casa. Sibille, dicevamo».

Pochi anni prima però c’erano stati i tempi gloriosi di Marcello e Lia Rumma, collezioni­sti belli, potenti, amati e invidiati — non solo a Napoli e a Salerno.

«Di Marcello mi era piaciuta la freschezza. Più tardi avrei capito che quella purezza era soprattutt­o fragilità. Insieme abbiamo scritto una pagina di arte contempora­nea».

Nel 1968 quando organizzas­te “Arte Povera più Azioni Povere” negli antichi Arsenali d’Amalfi chiamaste come curatore Germano Celant, oggi una delle vittime del Covid-19. All’epoca lui aveva solo 28 anni.

«Volevamo raccoglier­e le energie migliori di quel periodo, diventare un faro nazionale. Quella di Amalfi divenne una delle prime espression­i dell’Arte Povera. Boetti, Kounellis, Fabro, Merz. Erano tutti lì ed è per questo che ho tenuto tanto alla mostra che si sta chiudendo in questi giorni al Madre, “I sei anni di Marcello Rumma 1965-1970”. Lì c’è tutta la nostra vita».

Poi lui morì, nel 1970. Era pronta al suo suicidio?

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