Diventare consapevoli con il “saggio” Montaigne
Non ha niente da insegnare, né pretende di farlo. Non è interessato a grandi sistemi, a verità universali che possano illuminare le nostre esistenze. Se scrive, scrive per sé, per conoscersi meglio – e imparare a vivere.
Questo, in estrema sintesi è il progetto che anima i “saggi” di Michel de Montaigne: un caleidoscopio di osservazioni e idee, apparentemente sconnesse, anzi davvero sconnesse, e proprio per questo suggestive: è ordinata la nostra vita, o il flusso dei nostri pensieri? L’intuizione di partenza è rivoluzionaria. L’Antichità e il Medioevo si sono sempre rivolti verso il mondo esterno, in cerca di una realtà solida, oggettiva. Hanno indagato quello che ci accomuna (cosa vuole dire che siamo animali razionali? Cos’è l’anima? Che rapporto ha con il corpo, è immortale?). La modernità nasce con uno sguardo che improvvisamente si rivolge dentro di sé, scrutando il singolo nella sua inimitabile specificità, con la sua storia e i suoi gusti personali, le sue debolezze particolari e i suoi progetti altrettanto singolari. Difficile raggiungere conclusioni certe, quando ci si inoltra nelle pieghe di un individuo. Ma è con questo – con noi stessi – che dobbiamo fare i conti, se vogliamo imparare a vivere, se vogliamo costruire noi stessi.
In effetti, tutto si gioca nelle sfumature e nei dettagli. Come ad esempio nella distinzione tra abitudini e consuetudini, a cui Montaigne dedica un lungo saggio (da poco ripubblicato per i tipi di Fazi, in una bella antologia intitolata