MATTEO BERRETTINI
«Mi giro verso il mio box e dico: sta succedendo proprio a me? Non è facile essere nel momento. Venivo da una battaglia di quattro ore davanti a 20 mila spettatori e bum, torni alla realtà. Ma che gioia, mannaggia».
L’emozione prevalente dopo il kappaò con Rafa Nadal in semifinale, invece.
«Dispiacere, delusione. Ma senza esagerare: ho finito con il mal di gola e un’infiammazione alla bocca per lo stress, ero completamente svuotato. Non mi meritavo di parlarmi addosso o lamentarmi troppo».
La proverbiale solitudine del tennista è un letto di chiodi o un bagno caldo, per lei?
«A me stare da solo piace. Amo la compagnia ma ogni tanto sento il bisogno di isolarmi. Dell’essere solo in campo apprezzo la responsabilità delle decisioni: sono artefice del mio destino. Ma sapere di avere le spalle coperte dalla famiglia e dal team, fuori, è importante». Ricorda un momento di solitudine estrema?
«Estbourne 2018, prima di Wimbledon. Affronto Ferrer, non gioco male ma sono lamentoso, poco centrato. Il mio coach aveva adottato la tecnica di lasciarmi nel mio brodo. Perdo un punto, mi volto e vedo che lui nemmeno mi guarda. Lì mi sono sentito solo sulla terra, come mai prima, nudo e senza appigli. Una lezione importantissima: quando ti risuccede, riconosci la situazione e intervieni».
Scavarsi dentro è un esercizio che non la spaventa.
«Barcollare va bene, però bisogna imparare. Sennò si rimane sempre uguali a sé stessi».
È un curioso lettore, Matteo. È anche un appassionato scrittore?
«Non scrivo con costanza ma quando sono ispirato lo faccio. In aereo, per esempio, di getto, con la penna speciale dell’iPad. Ho riletto recentemente cosa avevo scritto l’anno scorso quando mi sentivo dentro un frullatore: giocavo e vincevo, dormivo pochissimo, avevo sempre il cervello in movimento, ero sempre adrenalinico. Il frullatore mi stanca, scrissi, ma una volta spento mi manca».
Un libro che le è rimasto appiccicato?
«Stefano mi fa spaziare da Hemingway a Bukowski, ma le cose che ti segnano di più accadono presto. La prof delle medie ci fece leggere la storia di Iqbal Masih, il piccolo tessitore di tappeti che liberò tremila schiavi, e
Mi resi conto di quanto sono fortunato». Durante il lockdown, in Florida,