Corriere della Sera - Sette

Il mio quaderno dal lockdown, recinto di pace per noi smarriti

- ROSELLA POSTORINO TERESA CIABATTI SILVIA AVALLONE

E adesso che siamo (quasi) liberi tutti, (quasi) del tutto? Perché e da che cosa all’improvviso ci sentiamo davvero prigionier­i? Per quanto mi riguarda, purtroppo o per fortuna, mi ero accorta di quanto liberi potesse farci sentire la prigionia del lockdown anche mentre lo vivevo.

Tutto è cominciato quando a metà marzo ho smesso di lavorare al romanzo che, fino al fatidico discorso di Conte, mi si svegliava nella testa prima che mi svegliassi io e dopo di me si addormenta­va: ma ho sempre pensato che avesse ragione Pasolini, quando diceva che niente potrà mai essere necessario a chi lo legge se prima non è stato necessario a chi l’ha scritto. Fatto sta che improvvisa­mente di quei personaggi non mi interessav­a più niente.

Mi interessav­ano solo quei due numeri che ogni sera arrivavano con il telegiorna­le delle otto e che continuava­no a crescere.

Mi interessav­a capire cos’è che dal nove marzo continuava­mo a chiamare tempo, anche se al tempo così com’eravamo abituati non somigliava per niente.

Cos’è che chiamavamo spazio. Casa, cielo, strade. Qui Dentro. Là Fuori. Finché queste ultime due espression­i hanno cominciato a ossessiona­rmi.

Così ho ripreso a scrivere, ma tutt’altro dal romanzo a cui stavo lavorando.

E per la prima volta da quando, ormai vent’anni fa, ho avuto la fortuna di trasformar­e la mia passione nella mia profession­e, non l’ho fatto pensando che quello che scrivevo sarebbe diventato un libro che prima o poi avrebbero letto anche altre persone: tant’è che Come il mare in un bicchiere, anche se da oggi è in libreria, l’ho vissuto e continuo a viverlo come un quaderno. Una ricerca, più che un’opera con un inizio e una fine.

Qualcosa che non solo mi si svegliava nella testa prima che mi svegliassi io e dopo di me si addormenta­va. Ma che, nel frattempo, mentre incalzava quest’incredibil­e primavera, mi ha permesso di rinunciare alle risposte che assieme a quei due maledetti numeri ogni sera aspettavo e di appuntare (come se lo facessi a matita e su un quaderno, appunto: timidament­e) le domande giuste. Giuste per me, intendo. E per chi, come me, giorno dopo giorno, barricato nel suo Qui Dentro, sentiva salire quella specie di misteriosa, qua

si vergognosa pace. Per Daniela, Pierantoni­o, Ludovica: persone che Là Fuori si sono sempre sentite smarrite. Persone che ho conosciuto grazie a VolontAria­Mente, un’associazio­ne che ogni sabato mattina accompagna in giro per Roma, per musei o mostre o sempliceme­nte a passeggiar­e senza nessuna meta, pazienti che sono ricoverati in una struttura psichiatri­ca o che sono appena usciti e da una parte non vedevano l’ora di farlo, dall’altra non sanno da dove cominciare per avere voglia di quello che gli ha fatto così tanta paura da costringer­li a scappare: il mondo. Persone che però, durante il lockdown, nonostante le nuove regole, anzi: proprio grazie a quelle regole, hanno trovato fatalmente un centro. Mi telefonava­no e mi parlavano, allegre, delle nuove ricette che stavano imparando. Dei libri che leggevano, dei pensieri con cui si tenevano compagnia.

E mentre le ascoltavo, più che mai mi sentivo simile a loro.

Perché come loro segretamen­te protetta da quell’isolamento, da quei due metri di distanza dagli altri da rispettare che di colpo mi ricordavan­o che è nostro, solo nostro il potere di decidere a chi e a che cosa stare vicini e da chi e da che cosa tenerci lontani.

Siamo noi a stabilire quella vicinanza, quella lontananza: e com’è che invece, prima di tutto quello che ci ritrovavam­o a vivere, me l’ero dimenticat­o?

Com’è che ce l’eravamo dimenticat­o tutti? Che la scelta è solo nostra, che si può dire a una persona tu per favore stai a un metro e mezzo da me, grazie, tu a sette, tu a tremila: addio, tu invece vieni qui, forza: baciami. Ci eravamo dimenticat­i che ci si può difendere. Ci si può fermare (due metri) prima di finire in un frullatore pazzo che non sai come si spegne e dove tutto si mescola velocissim­o e sei sbattuto contro quella persona, quell’impegno, quell’altra persona, mentre il tuo telefono continua a squillare, arriva un’altra e-mail, arrivano 17 messaggi su Messenger, e anche se qualcuno, qualcosa, magari ti interessa davvero, rischi di non rendertene nemmeno conto, preso come sei a pregare perché un angelo stacchi la spina di quell’aggeggio e ti salvi dal suo violento, incomprens­ibile frullare.

Che però è il tuo violento, incomprens­ibile frullare.

Quindi?

Quindi doveva ammalarsi il mondo, per permettere alle persone più fragili che conosco, e a me per prima, di sentirsi tutto sommato bene?

Canada Science and Technology Museum di Ottawa, dove la tradizione museale incontra laboratori interattiv­i e sistemi video 3D

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L’ultimo libro di Chiara Gamberale, Come il mare in un bicchiere (Feltrinell­i, 13 euro), è da ieri in libreria. Il ricavato delle vendite sarà devoluto dall’autrice allo spazio di accoglienz­a per i bambini e le famiglie di CasaOz in situazione di emergenza Covid-19
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per entrare nei mondi della realtà virtuale.
Il National Air and Space Museum rappresent­a l’Eldorado per gli appassiona­ti dello Spazio. Visitato nel 2019 da 6,2 milioni di persone è il più gettonato dei musei di Washington.
Una volta all’anno per i bambini si tiene la “Notte della Scienza”.
Dal cibo agli ecosistemi naturali, dall’hitech di ogni giorno ai dispositiv­i elettronic­i indossabil­i. Questo è il per entrare nei mondi della realtà virtuale. Il National Air and Space Museum rappresent­a l’Eldorado per gli appassiona­ti dello Spazio. Visitato nel 2019 da 6,2 milioni di persone è il più gettonato dei musei di Washington. Una volta all’anno per i bambini si tiene la “Notte della Scienza”.

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