«SE TRUMP VINCE DI NUOVO, CERCO RIPARO IN ITALIA»
David Leavitt, il titolo originale del suo ultimo romanzo suona in italiano — più o meno — come «mettetevi al sicuro». Cioè la frase che ci siamo sentiti dire ininterrottamente per mesi.
«Ma io l’ho finito prima che scoppiasse la pandemia. E la prego, non scriva che sono un medium!»
Per carità. Anche perché il titolo dell’edizione italiana, pubblicata da Sem, è Il decoro.
«Un buon compromesso, anche perché il titolo originale,
allude a tante cose. È un invito a trovare ciascuno il proprio rifugio, anche metaforico. È un invito a mettersi al riparo, dalla cronaca e dalla storia. Sa di casa, di fortezza, di nido».
A quasi cinquantanove anni e quindici libri, qual è il suo rifugio? Questa casa a Gainesville, in Florida, da dove mi sta parlando?
«Perché no? Ci vivo da quindici anni, non ho figli (Leavitt vive con suo marito, e vista da qui nemmeno la pandemia spaventa tanto. Il Covid-19 in Florida sta diventando un problema serio, ma le piccole città isolate riescono
pericolosità del virus».
Insomma, anche durante la peggiore sconfitta del pensiero liberal, cioè durante le elezioni del 2016, ci si ripeteva «andrà tutto bene»?
«Quello che sto per dire è pesante ma è sincero: se avessi saputo come sarebbe andata a finire, io all’indomani dell’incarico a Trump sarei andato vaia. O avrei fatto qualcosa che ora non so dire. Così come sono certo che se dovesse vincere ancora, a novembre, me ne andrò. Dove? Ma in Italia, naturalmente».
Lei ha vissuto nel nostro Paese, qui è stato promosso e sostenuto da Fernanda Pivano quasi trentacinque anni fa, buona parte del suo nuovo romanzo si svolge a Venezia. E la casa editrice Sem ora sta pubblicando la sua backlist.
«Venezia è il rifugio, appunto, di Eva, che decide di andarsene in uno dei posti che per gli americani sono l’equivalente di un mondo fantastico, impensabile nella vita reale. Le rivelo un’altra coincidenza ma, ancora, non dica che sono un medium: quarantena è una parola che nasce a Venezia e indica quaranta giorni, la durata tipica dell’isolamento cui venivano sottoposte le navi e i marinai provenienti da zone colpite dalla peste nel XIV secolo, prima di entrare nella laguna. Giuro che non sapevo che poi sarebbe scoppiata la pandemia».
Eva trova il proprio rifugio a Venezia, per gli altri è più complicato. Anche perché lei nel libro racconta i protagonisti come parte di un’unica famiglia, unita non da legami di sangue ma di amicizia, senso di appartenenza, di comunità.
«Ecco, sì. Ho voluto raccontare un nuovo tipo di famiglia, molto sottile e impercettibile ma chi vive nelle grandi città mi capirà bene. Chi abita nelle metropoli spesso assiste a un dissolvimento della famiglia tradizionale e comincia a crearsene una diversa. Non parlo solo degli amici: è una famiglia composta da colleghi di lavoro, conoscenti con cui dividiamo il tempo libero, nel mio caso gli studenti (Leavitt insegna letteratura inglese alla University of Florida, nel programma di scrittura creativa, Ecco perché quando, anche negli anni Ottanta, parlavano della solitudine nelle grandi città a me veniva da sorridere. Non si è soli, è una famiglia un poco differente. E, come tutte le famiglie, può finire nei pasticci».
Ma il pensiero bianco, parasuprematista e tradizionale americano, non ammette questo tipo di famiglia.
«Mi lasci dire una cosa. Spesso alcuni personaggi fanno tanto rumore
«CHI ABITA NELLE METROPOLI SPESSO ASSISTE A UN DISSOLVIMENTO DELLA FAMIGLIA TRADIZIONALE E COMINCIA A CREARSENE UNA DIVERSA. NON PARLO SOLO DEGLI AMICI: COLLEGHI DI LAVORO, CONOSCENTI CON CUI TRASCORRERE IL TEMPO LIBERO, NEL MIO CASO GLI STUDENTI»
«Guardi alla schizofrenia che regna in questa pandemia vista dagli States. Da una parte i numeri che salgono in moltissimi Paesi
sia nei contagi che nei decessi —
e, dall’altra, numerosi governanti — che fanno finta che la cosa sia molto meno preoccupante. Ora, il punto è che in situazioni di emergenza come questa bisognerebbe essere molto chiari, seguire, come Paese, una linea condivisa. Non lanciare ogni giorno messaggi contraddittori. Io penso che alcune manifestazioni di
dissenso siano nate anche dietro questa spinta, come se ci si sentisse legittimati a fare quel che si vuole. Ma c’è dell’altro».
Dica.
«A me ha preoccupato molto l’iniziale reazione di Trump, che ha alimentato il razzismo contro gli asiatici. Tutti avevamo la sensazione che si stesse muovendo per suo conto, con sindaci e governatori realmente in campo per arginare la pandemia. Trump assomiglia a una specie di padre psicotico, con aggiunte di personalità narcisistica. Ne ha parlato anche il
A proposito di differenze.
Pablo, uno dei personaggi del romanzo, è di origine argentina e i suoi genitori sono stati uccisi nel Paese natale. Ma vive a New York. L’America (o, meglio, una certa America) può ancora dirsi un “rifugio” per chi arriva da situazioni difficili?
«Le rispondo partendo ancora una volta dal romanzo. Alcuni miei studenti mi hanno fatto notare che la voce prevalente del libro è quella di gente bianca, ricca, colta e che può permettersi di parlare. È una voce netta, definita. Con una sua storia e una sua struttura».
Dunque, con una demarcazione netta da chi non rientra in questi parametri?
«Esattamente».
Il romanzo ha il sapore di una commedia. Eppure la materia è tragica: la sconfitta di una classe intellettuale, la disgregazione dei legami, il declino di un sistema di valori che non trova, appunto, una fortezza.
«Dirò la verità. Ho letto qualche romanzo scritto nell’era Trump. Mi sono sembrati cupi e proprio per questo molto inadeguati.
«SU NANDA PIVANO POTREI RACCONTARE DECINE DI ANEDDOTI. UNA VOLTA ERO A CENA CON LEI E ALTRI DUE OSPITI, DI CUI UNO AMERICANO CHE ORDINÒ UN VINO SENZA CONSULTARLA. UN AFFRONTO INCREDIBILE: ORDINARE TU IL VINO QUANDO SEI A TAVOLA CON UN’ITALIANA!»
Penso che sia per l’ostinazione di raccontare il presente e basta, ma il presente cambia in fretta. La commedia è perfetta per raccontare situazioni che assomigliano alla farsa. E così mi sono detto: voglio tornare in libreria, dopo anni, con una commedia, con l’ironia».
Non la stimola l’idea di una storia distopica?
«Il punto è che io parlo sempre di presente leggendo il passato. L’ho sempre fatto, come se la storia, nei miei romanzi, fosse la conseguenza di quello che c’era stato prima. Ecco perché i miei romanzi vengono definiti politici. Ma non sono io che cerco la politica, è la politica che arriva davanti agli occhi dei romanzieri che cercano l’autenticità».
Certo, i dialoghi sono la cosa più ricorrente nella sua scrittura, sin dagli inizi, quando con Ballo di famiglia (tradotto in italiano nel 1986) lei si impose come la voce più interessante nel post minimalismo americano.
«Lo sa che è stata una donna a farmi scoprire un nuovo e più efficace uso del dialogo? La grande Ivy Compton-Burnett, autrice inglese i cui libri hanno una struttura dialogica molto raffinata. Leggetela. Ma leggete anche Cynthia Ozick».
E in Italia importantissima è stata un’altra donna, Fernanda Pivano. Siamo negli anni Ottanta
e “la Nanda” si impunta con tre autori americani: Jay McInerney, Bret Easton Ellis e lei, David Leavitt.
«Io non ero così vergognosamente adorante, nei suoi confronti, cosa che facevano molti altri scrittori. E forse anche per questo mi amava particolarmente. Mi apprezzava. Potrei raccontarle decine di aneddoti ma mi limiterò a quello che più mi è rimasto impresso. Eravamo a cena con lei e altri due ospiti, uno americano. Ricordo che questo ordinò un vino senza consultarla. All’epoca questo mi parve un affronto incredibile: ordinare un vino quando sei a tavola con un’italiana, in piena e vergognosa autonomia!».
Però tutti e tre aveste un enorme successo e continuate ad averlo. Vennero coniate numerose etichette, penso, appunto, al post minimalismo. Oggi, a distanza di tanti anni, come vede queste categorie letterarie? Possono dirsi ancora vive?
«Io credo che ogni volta che si vuol lanciare un libro o un autore le etichette servano più agli addetti ai lavori che ai lettori veri e propri. Per quello che mi riguarda possono definirmi in ogni modo ma io resto un autore che parla di persone, legami, famiglie, generazioni. E, mi creda, è abbastanza faticoso così».
Speed Cross