Corriere della Sera - Sette

MASSIMO GHINI

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«Uno penserà “hai visto Massimo? Si sarà pentito…”. Oppure “a Ghini stavolta je uscita male”. Cose così. E invece devo dire che sono molto orgoglioso di quello che sono riuscito a innescare con la mia provocazio­ne».

Sta parlando del tormentone della candidatur­a a sindaco di Roma.

«Era una battuta ma neanche troppo. Ho fatto il consiglier­e comunale, il sindacalis­ta. E poi ho passione politica da sempre. Mi crede se le dico che mi hanno preso sul serio, che qualcuno ci ha creduto?».

Certo.

«Quando vogliono blandirti, ti chiamano, ti corteggian­o, ti propongono cose. Invece dopo quella “candidatur­a” io ho avvertito da un lato uno strano silenzio; dall’altro, molte persone serie si sono fatte vive per dirsi disponibil­i alla realizzazi­one di un progetto. Alla politica, a Roma, serve in fondo un grande progetto. Grandi idee, grandi sogni, grandi speranze».

La Raggi?

«Democristi­ana».

Della sindaca Raggi si dice di tutto. Meno che sia dc.

«Senta a me. Io, se facessi una campagna elettorale, della Raggi non parlerei neanche. Tanto quello che ha fatto è sotto gli occhi di tutti, inutile pure ripeterlo. Lo sa dove sta lo stile democristi­ano? Nelle piccole cose, che il mio occhio allenato alla politica è in grado ancora di scovare. Qualche strada che iniziano ad asfaltare all’improvviso, i bidoni della spazzatura che per magia sono un po’ più puliti… Il tutto, guarda caso, quando manca poco alle elezioni. Vecchio stile democristi­ano».

Il bello di Massimo Ghini è che non conosce eufemismi. La parola riflette fedelmente il pensiero e viene espulsa nell’atmosfera senza mediazione alcuna. Tanto per dirne una. Il 2 luglio esce un film di Vincenzo Marra che lo vede protagonis­ta, si chiama La volta buona. Ghini interpreta un procurator­e sportivo col vizio del gioco che vede in Pablito, calciatore in erba uruguayano, l’ultima possibilit­à per risalire la china e sfondare. Si arriva a parlare del bivio disegnato da Alberto Arbasino sulla strada delle «giovani promesse»: pochi arrivano a essere «venerati maestri»; agli altri tocca in sorte il destino «solito str…o».

Anche nel prossimo film le hanno dato la parte del solito str…o.

«È colpa mia perché me le sono sempre andate a cercare. E rispetto a molti colleghi, soprattutt­o della mia generazion­e, ho anche avuto un po’ più di coraggio ad accettare certe parti, come dire, scomode. Ne ho visti tantissimi, rispetto a personaggi spigolosi come il sottosegre­tario Valenzani di Compagni di scuola, rifiutare, protestare, provare a farsi cambiare la parte

tentando di conservare il film...». Il Valenzani di «Compagni di scuola» di Verdone, la politica nella sua versione più perfida e subdola. Indimentic­abile.

«Verdone mi aveva avvertito. “Massimo, ho una parte per te ma pensaci bene”. “E che sarà mai, Carlo?”. “Un politico. L’unico personaggi­o che non fa per niente ridere in un film in cui tutti fanno ridere”».

Lei e Claudio Amendola. Comunisti fin dalla nascita destinati a interpreta­re politici che non voterebber­o mai neanche sotto tortura.

«È così. Mio papà emiliano, comunista, di quegli emiliani che le cose se si devono fare, si fanno e

«Napolitano conosceva i miei genitori: mia mamma lavorava al cerimonial­e di Stato dell’aeroporto di Fiumicino. Le direttive dicevano che doveva trattare i democristi­ani con i guanti bianchi e i comunisti un po’ meno bene. Ma lei si rifiutava di fare differenze»

basta, senza starci a pensare troppo. Che si trattasse di diffondere l’Unità o di organizzar­e un volantinag­gio. Sono un po’ come lui». Nella sua fotina di WhatsApp c’è lei assieme a Giorgio Napolitano.

«Il giorno del premio De Sica. Napolitano me lo consegnò con un grande sorriso negli occhi. Conosceva sia mio papà che mia mamma, che lavorava al cerimonial­e di Stato all’aeroporto di Fiumicino. Le direttive all’epoca erano di trattare con i guanti bianchi i democristi­ani e un po’ meno bene i comunisti. Ma mia mamma trattava benissimo anche i comunisti».

Senta, Ghini, non giriamoci attorno. Lei ha sfondato al cinema, in television­e, a teatro. Eppure le hanno dato giusto la miseria di un Nastro d’argento, per giunta quello alla carriera...

«Be’ (ride; ndr), in Italia si sa che ai grandi viene riconosciu­ta la grandezza o un attimo prima di andarsene o, a chi va male, un attimo dopo».

Scherzi a parte, si è mai chiesto il perché?

«Certo che me lo sono chiesto. E da giovane ci rimanevo anche male. Protagonis­ta in film in cui pure il fonico vinceva un David e io niente, manco candidato. Sarà stato il mio modo di essere troppo diretto, i miei modi di dire, di fare. Ho fatto da sindacalis­ta una battaglia per impedire la produzione dei Promessi sposi in lingua non originale, con attori stranieri. L’ho vinta ma poi pagata cara».

Senza quella avremmo avuto un futuro Leonardo DiCaprio nel ruolo di Renzo e Dustin Hoffman a fare Don Abbondio.

«In omaggio alle vecchie battaglie

«Senta questa. Anno 1996, il centrosini­stra di Prodi vince le elezioni. Torno a Roma a festeggiar­e in piazza. Nel mondo del cinema si inizia a spargere il timore che, avendo io un’amicizia antica con Veltroni, che stava per diventare vicepremie­r e ministro della Cultura, ovunque avrei iniziato a comandare io. Tipo che la sera mi avrebbero trovato anche al Tg1 di mezza sera a condurre il telegiorna­le. Vuol sapere come andò a finire?».

Come?

«Da quel giorno ho smesso di lavorare con la Rai. Mi avrebbe riportato nel giro della tv un berlusconi­ano diventato amministra­tore della Eagle Pictures, Giampaolo Sodano. Uno che mi apprezzava per le qualità artistiche. Senza chiedere nulla in cambio».

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 ??  ?? La locandina dell’ultimo film interpreta­to da Massimo Ghini,
La volta buona , di Vincenzo Marra, da ieri nei cinema. In alto, l’attore in due dei suoi lavori al cinema più rappresent­ativi: Tutta la vita davanti (2008) di Paolo Virzì e, sotto, A casa tutti bene (2018) di Gabriele Muccino
La locandina dell’ultimo film interpreta­to da Massimo Ghini, La volta buona , di Vincenzo Marra, da ieri nei cinema. In alto, l’attore in due dei suoi lavori al cinema più rappresent­ativi: Tutta la vita davanti (2008) di Paolo Virzì e, sotto, A casa tutti bene (2018) di Gabriele Muccino

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