Corriere della Sera - Sette

Luttazzi, lo zio Lele di Mina

- (Souvenir d’Italie, Vecchia America, El can de Trieste (Una zebra a pois), (L’avventura L’ombrellone

Lei lo chiamava Siu Lellu, zio Lele, ma lui era pazzo d’amore: «… e lei veniva da me e passavamo le serate a guardare la tv, come due bambini!… io matto d’amore, dentro di me cotto come una tegola, e lei… mi voleva bene, sì, mi voleva molto bene… ma io, per lei, andavo pazzo, pazzo!

Ho avuto questo grande innamorame­nto. Ch’è rimasto, che rimane tutta la vita… Di Mina siamo, siamo stati, innamorati in parecchi» avrebbe raccontato poi in una chiacchier­ata con Lele Cerri. Erano gli anni d’oro di Studio Uno e della meglio tv e Lelio Luttazzi, triestino dai molti talenti impastato nello swing, era all’apice del successo ma non si montava la testa. Suonava al piano con maestria, componeva con successo

)a volte con innovativa follia faceva cinema di Michelange­lo Antonioni e di Dino Risi) aveva condotto per anni la trasmissio­ne radio di culto Hit Parade e presentava in tv con quella nonchalanc­e contenuta e non vanesia che ne ha fatto un maestro e un modello.

La sua fortuna era cominciata con Il Giovanotto Matto composta durante la guerra e incisa dalla star del tempo Ernesto Bonino, diventata grande successo a sua insaputa, tanto che quando Lelio torna dalla guerra apprende dalla Siae che ha accumulato 350 mila lire di diritti d’autore. Poi ha bruciato tutte le tappe anche se lui minimizzav­a: «Antonioni mi ha cercato solo su consiglio della sua fidanzata Monica Vitti. Vai a saperlo che avevo partecipat­o a un capolavoro!». Mentre l’Italia del benessere si identifica­va in quell’uomo gentile non invadente, pieno di musicalità e di umorismo, un triestino all’inglese senza sovrastrut­ture e narcisismi, che

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