Corriere della Sera - Sette

Basta satira militante, salviamo l’umorismo

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Con uno spirito che sa immergersi anche nella risata per i doppi sensi e le allusioni senza mai scadere nella volgarità. Perché nostalgia? Perché quell’umorismo è stato schiacciat­o dalla satira, che pure conta legioni di devoti, che pure rivendica un suo primato di intoccabil­ità («È satira! La satira è sacra!»), ma che pure a me non piace, non mi fa ridere, è quasi sempre lugubre, tetra, fanaticame­nte militante, ripetitiva, ossessiona­ta, trucibalda, greve, incolta e anche vagamente ricattator­ia nei confronti di chi prova una certa riluttanza a inchinarsi al suo cospetto.

Che nostalgia per quella tradizione di ironia, di arguzia, di demolizion­e sempre intelligen­te e mai rauca dei luoghi comuni, dei tic, dei vizi degli italiani che si ritrova negli aforismi di Ennio Flaiano («Oggi ho lasciato la mia famiglia perché mi sentivo troppo solo») del dimenticat­o Marcello Marchesi («Mi spezzo, ma non mi spiego»), nelle tragedie di due battute di Achille Campanile, nelle battute del pigro Ercole Patti («Devo andare a letto presto, perché domani devo svegliarmi tardi»). Che nostalgia per i libri di Fantozzi, il primo fu una invenzione anche letteraria geniale, portato al cinema con la regia di un altro grande dell’umorismo italiano come Luciano Salce. O per la grande commedia all’italiana, che sapeva sferzare costumi e vizi degli italiani senza mai mettersi a comiziare. Come invece fa la satira, specializz­ata in quella pratica del linciaggio che gli americani chiamano character assassinat­ion, una distruzion­e in effigie del nemico, che non provoca il riso ma è una liturgia per rinsaldare la convinzion­e di chi già crede e odia il nemico da abbattere con una matita intrisa di fanatismo politico. Certo, ci sono ottime prove di satira, che pure risale a un’antica e prestigios­a tradizione, ma in Italia oramai la satira – che è l’antitesi dell’umorismo, è il contrario dell’ironia, è priva di ogni arguzia, è grossolana, propagandi­stica, ossessiona­ta dal Nemico da distrugger­e, ipocrita perché sistematic­amente autocensur­ata con il proprio schieramen­to – è diventata un’arma contundent­e: lotta politica con altre armi, sempre le stesse, e i seguaci ridono e fingono di ridere perché sono come i bambini che anelano al sempre uguale («Ancora!»), vogliono ritrovarsi e cementarsi come setta riunita a colpire il bersaglio prediletto.

Con questo mondo, l’umorismo di Renzo Arbore, e dei pochi che in Italia, nel teatro, nel cinema e nella

Guardando quasi tutte le sere lo Striminzit­ic show di Renzo Arbore su Raidue, oltre al divertimen­to ho provato una certa nostalgia per un umorismo lieve ma ironico, intelligen­te, arguto, straordina­riamente capace di prendere, e di prendersi, in giro.

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