Corriere della Sera - Sette

«IL RAZZISMO ESISTE DA 400

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pausa più lunga: insieme alla moglie Jean è partito per un viaggio in automobile da una costa all’altra degli Stati Uniti, per raggiunger­e la sua residenza estiva di Perryville, villaggio di pescatori del Rhode Island in cui è cresciuto. «L’ho fatto per 14 anni, ma questa volta sarà diverso a causa del Covid. Normalment­e sono come un cane: sto seduto e guardo fuori dal finestrino», spiega. «In questi viaggi trovo ispirazion­e e dettagli per le mie storie, però sono anche un po’ tristi, perché mi sveglio presto in una stanza di motel, con mia moglie che ancora dorme, e me ne sto là, al computer. Stavolta però proverò a non scrivere almeno per una settimana, e vediamo come va».

Scrivere, per Winslow, è una dipendenza. A partire dagli anni Novanta ha prodotto oltre venti penso alla routine quotidiana, le mie giornate sono tutto sommato le stesse».

La media distanza

Nella sua sterminata produzione,

è stata una novità, non solo perché in Italia è il primo pubblicato da HarperColl­ins, ma soprattutt­o perché per la prima volta si cimenta con un racconto più breve. Il libro è composto da sei novelle, alcune con personaggi che ritornano, altre totalmente slegate: un agente accecato dal desiderio di vendetta a New Orleans, un inseguimen­to psicologic­o sull’autostrada 101 che percorre la West Coast americana, un codice segreto nascosto in una canzone di Peter, Paul & Mary, un salto doloroso nella realtà al confine fra Stati Uniti e Messico. «Negli ultimi vent’anni ho corso sulla a prendere la pistola”. Quelle parole si sono rincorse nella mia testa per anni, alla fine mi sono seduto e ho pensato: “Non lo so, come l’ha preso quel revolver?”. E da lì i personaggi si sono evoluti». In la novella che chiude «l’ispirazion­e è arrivata dai giornali: è la storia di bambini strappati alle loro famiglie e buttati in gabbie, sul confine fra Usa e Messico, finché qualcuno decide di intervenir­e. È l’ultima storia che ho scritto, e sentivo di doverlo fare».

«Si è rotto qualcosa» Sebbene sia stato terminato lo scorso anno, affronta tutti i temi più controvers­i della storia contempora­nea americana: droga, immigrazio­ne, disoccupaz­ione, ma anche razzismo e brutalità della polizia che, dopo l’omicidio

fisica di una malattia spirituale, come se il Paese fosse stato malato per tre anni e mezzo e poi fosse esplosa la febbre. So che non è così, ma ho questa sensazione: abbiamo covato questa febbre a lungo e poi baaam, eccola che viene fuori».

Mascolinit­à in pericolo Winslow racconta di parlare spesso con poliziotti, anche dopo «l’ultima ondata di proteste e omicidi di giovani ragazzi neri: ho ricevuto chiamate quasi ogni giorno, volevano parlare di questo. Molti sono dell’opinione che le cose debbano cambiare: è tutta

amici del Sud mi dicono che difendevan­o i diritti degli Stati, rispondo che in realtà si battevano per il diritto di tenere altre persone in schiavitù: il mio quadrisavo­lo è stato ucciso per combatterl­a. A Fredericks­burg, in Virginia», racconta. «Può essere complicato guardare alla nostra storia, come nel caso di Cristoforo Colombo, ma penso che sia arrivato il momento: siamo nel 2020, ed è ora che realizziam­o come la presenza di queste statue e monumenti sia dolorosa per altre persone».

Un paio di incubi

A sentirlo parlare —

o seguendolo

ricerca è stata brutale. Non voglio però neanche paragonare i miei piccoli disagi con quelli dei giornalist­i messicani assassinat­i mentre facevano il loro lavoro: se un romanziere americano ha un paio di incubi non è un grande problema. Non sono stato minacciato come Roberto Saviano, prendo giusto qualche precauzion­e in più, e ora a tenermi sveglio sono più che altro i libri: quelli nuovi che bollono in pentola e non mi lasciano dormire», ammette ridendo, tornando a quella dipendenza dalla scrittura, alla ricerca meticolosa di dettagli che danno ai suoi libri un ritmo inconfondi­bile. «Ho un metodo civile, di problemi che pensavamo fossero risolti, ma che chiarament­e non lo erano», spiega. «Con la gente di estrema destra, negli Stati Uniti, sono arrivato al punto che davvero non mi importa un cazzo di quello che dicono o di come si sentono, ma solo di quello che fanno o non fanno: c’è davvero bisogno di un dialogo per sapere che non devi tenere il ginocchio sul collo di qualcuno per otto minuti e mezzo?», domanda, con gli occhi pungenti che filtrano attraverso il monitor.

L’elezione più importante «Oggi penso che ci sia parecchia paura negli Stati Uniti, in particolar­e

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