TRA USA E MESSICO IL MURO NERO CHE SCOTTA
Donald Trump, come un capo di un cantiere, è andato a controllare il muro al confine con il Messico. Era il 23 giugno ed ha scelto San Luìs, a sud di Yuma, Arizona, luogo che conosco bene. Attorno campi agricoli, a ovest dune di sabbia che ricordano il Sahara, a est rocce. Nel mezzo sentieri dell’illegalità.
In quest’assolato posto il presidente ha lasciato il segno, nel senso che ha messo la firma su una targa attaccata alla struttura imponente. Un autografo per ribadire che l’opera va avanti, come promesso prima, durante e dopo la campagna elettorale che lo ha visto trionfare. Ed ora che è in corsa per la seconda rilancia la carta Legge-ordine-sicurezza. Da qui le sferzate, le spinte continue con l’appoggio del genero Jared Kushner affinché la macchina proceda.
L’amministrazione, attraverso le sue agenzie, risponde con un aggiornamento costante sui lavori. I comunicati precisano: realizzati 350 chilometri di barriera, l’obiettivo è di arrivare a circa 800 entro la fine dell’anno; installate 62 telecamere mobili per la sorveglianza (in totale ora sono 192); schierati 4 mila soldati, resteranno fino al settembre 2021 in supporto alla Border Patrol.
I tabellini, diffusi sul web insieme a foto/video, danno la cadenza della lunga marcia. Incuranti delle critiche, delle vertenze legali
La Casa Bianca si è dannata per avere le risorse. Ha rastrellato fondi ovunque, compresi quelli del Pentagono, sacrificando programmi militari e ammodernamenti. Un gruppo di volontari ha realizzato un pezzo di muro in Texas. The Donald ha messo a disposizione dei tecnici quasi una quindicina di miliardi di dollari, forse sufficienti per rispettare un programma di massima. Cifra diversa dalle previsioni uscite in questi anni, ognuno aveva la sua: da 4 a 7, 15, 21. Miliardi per rispettare i parametri.
Altezza media di 10 metri (contro i sei di quella vecchia), resistenza per oltre 30 minuti ad un assalto con strumenti, profondità sufficiente ad evitare che passino sotto. E poi c’era la richiesta speciale, avanzata dal numero uno in persona: i pali devono essere riempiti di cemento per ostacolare il taglio e dipinti di nero, in modo che con il calore del Sole diventino arroventati e scottino gli intrusi.
L’aggiunta del colore ha fatto lievitare la spesa di circa 500 milioni di dollari e comunque non è chiaro dove sarà «data». Ci sono regioni dove al momento la barriera è tinta ruggine, pare uno spreco cambiarla. Sono dettagli. Come un altro, emerso in autunno. A sud di San Diego, in California, i trafficanti l’hanno segata 18 volte usando un attrezzo costato meno di 100 euro.
La polizia ha ribattuto che quan
Don Winslow gli dedica l’ultimo dei sei racconti che compongono il nuovo libro: 350 chilometri già realizzati con l’obiettivo di arrivare a 800 entro la fine dell’anno. La pandemia ha fatto crollare l’immigrazione clandestina, ma la macchina non si è fermata
do l’intero dispositivo sarà pronto le possibilità di violare i confini si restringeranno ulteriormente. Ma la miglior sentinella di Trump è la situazione economica aggravata dalla pandemia. In inverno, con la chiusura, l’offerta di lavoro è crollata e questo ha inciso sul flusso di migranti. Ad aprile hanno arrestato 16 mila illegali, in maggio 23.118. Un aumento sì, ma nulla rispetto ai 144 mila nello stesso periodo del 2019. La combinazione di ostacoli fisici, militarizzazione, espulsioni massicce e immediate, crisi sociale hanno costituito un deterrente. Per tanti clandestini, però, non ci sono alternative, da qui un’oscillazione continua nei flussi, legati spesso all’occupazione stagionale.
Chi vuole passare dall’altro lato si adatta al momento. Aspetta, cerca scorciatoie, paga i coyotes, i facilitatori, esosi come sempre. Il «biglietto» costa dai 5 mila ai 12 mila, a volte si accontentano di meno, in altre chiedono di portare pacchi di marijuana. Gioco pericoloso, viaggi nel deserto, trappole.
Si adeguano anche i narcos. La droga con qualche aggiustamento
— arriva lungo mille strade
— e molto spesso attraverso i check point ufficiali della Dogana, celata nei Tir, nelle scarpe, nel corpo di una persona, nelle vetture, nei copertoni, sotto le balle di fieno, nei carichi di peperoncino, angurie e lime, nelle gallerie sotterranee, a bordo di piccoli aerei, sganciata da droni, sparata con cannoni ad aria compressa, nei container.
Per i contrabbandieri il muro è una complicazione, ma sono mentalmente pronti a sfidarlo. C’è la domanda americana e l’offerta dei cartelli. In Messico si scannano per alimentare le forniture, quasi 12 mila vittime nel 2020 a causa delle faide. E allora quell’ostacolo è una rogna del mestiere. Che a loro sempre rende bene.