IRRAGIONEVOLI
Ha costruito e diffuso ovunque auto elettriche seducenti e convenienti come non se n’erano mai viste prima, costringendo le industrie di tutto il mondo a seguirlo. Ha messo in orbita le prime astronavi private, ha reinventato e reso più efficienti batterie e pannelli solari e sta sperimentando collegamenti terrestri (Hyperloop) e sotterranei (Boring Company) superveloci. Ma Elon Musk guarda molto oltre: vuole trasferire l’umanità su Marte per salvarla dal disastro ecologico della Terra e vuole creare una connessione diretta tra cervello umano e computer. Solo così, dice, eviteremo il rischio che l’intelligenza artificiale prevalga sull’ essere umano riducendolo in schiavitù.
Intanto Jeff Bezos, dopo aver sconvolto l’industria dei libri, trasformato la distribuzione commerciale attraverso Amazon, conquistato il cloud computing col suo sistema AWS, ora guarda allo spazio per l’approvvigionamento di energia e materie prime del nostro Pianeta mentre la sua Blue Origin sta costruendo un modulo per l’atterraggio di astronauti sulla Luna.
Progetti ambiziosi
Anche il cofondatore di Google, Sergey Brin, vuole rendere l’uomo onnisciente, collegando il suo cervello direttamente alla conoscenza senza limiti dei motori di ricerca e sogna di liberarlo dall’Alzheimer, dalle altre malattie e dall’invecchiamento delle cellule grazie a Calico, la società di ricerche mediche del gruppo. L’altro cofondatore, Larry Page, ha investito, invece, nello sviluppo di auto volanti e vorrebbe creare una sorta di città sperimentale nella quale testare le tecnologie più rivoluzionarie e fantasiose sviluppate nei vari campi per verificarne l’impatto sulla società, prima di introdurle nel mondo reale.
Pragmatico e coi piedi per terra, Mark Zuckerberg si è limitato a costruire la più vasta rete sociale del mondo, che è anche il più potente strumento di informazione e persuasione delle opinioni pubbliche del Pianeta. Uno strumento non regolamentato che dà un potere discrezionale sterminato al fondatore di Facebook, grande ammiratore di Cesare Augusto, il primo imperatore romano.
Geniali ma anche prepotenti, spesso irascibili e poco propensi al dialogo, i grandi imprenditori di big tech cavalcano progetti utili o addirittura entusiasmanti, ma anche idee che a molti di noi, gente normale, paiono il frutto di sogni o di incubi di menti distorte. Un po’ pazzi? Forse. Come quelli che, quasi un secolo e mezzo fa, si avventurarono sulle prime macchine volanti. Sogni falliti che hanno aperto, però, la strada al volo.
«Gli uomini ragionevoli» diceva George Bernanrd Shaw, «si adattano al mondo che li circonda. Quelli non ragionevoli insistono nel cercare di cambiare il
mondo rendendolo a propria immagine e somiglianza. E’ per questo che ogni progresso viene da gente irragionevole».
Allora hanno ragione loro? Dobbiamo affidarci a questi personaggi che a volte ci sembrano extraterrestri, facili da detestare per i loro atteggiamenti e per alcune loro azioni – Steve Jobs che anzichè criticare i suoi collaboratori li umiliava, Mark Zuckerberg che rifiuta di bloccare i messaggi più estremi su Facebook anche quando sono all’origine di campagne di violenza o addirittura di massacri come è avvenuto con la minoranza dei musulmani Rohingya in Birmania, Elon Musk che rifiuta di chiudere le sue fabbriche della Tesla durante l’epidemia di coronavirus sfidando le autorità della California – ma che con le loro innovazioni stanno cambiando in profondità le nostre vite? dove anche tra i tecnologi prevale la mentalità del gregge.
A questo imprenditore tedesco-americano (è nato a Francoforte, ma vive negli Usa da quando aveva 10 anni) non piace chi socializza facilmente: «Non assumo chi esce dall’università con un master in management: sono molto estroversi, ma non hanno convinzioni forti, non cercano strade originali, seguono la corrente». E l’idea che una patologia come l’Asperger, una forma lieve di autismo, sia alla base del successo di molti geni della Slicon Valley, l’ha sostenuta già sei anni fa nel saggio Zero to One: «Se hai difficoltà nei rapporti sociali e tendi a isolarti, agli altri potrai anche apparire strano, ma sarai più determinato e più portato a cercare soluzioni originali: fuori dagli schemi che influenzano gli altri ma non te». Thiel non è certo l’unico l’unico a pensare che «Asperger è un vantaggio per chi vuole fare innovazione e creare grandi imprese». E’ da quando, alla fine degli anni Novanta, la sociologa australiana Judy Singer elaborò la teoria della neurodiversità che alcune patologie dell’apprendimento e del comportamento – autismo, dislessia, disturbi della concentrazione – vengono rilette anche in molti ambienti clinici come espressioni di tipi diversi d’intelligenza, anzichè come malattie.
«L’interesse ossessivo per i dettagli, una passione irrefrenabile per i numeri e l’accettazione senza remore di compiti ripetitivi», scrive l’Economist,«sono sintomi di autismo, ma sono anche le caratteristiche di un buon programmatore». Il magazine britannico traccia addirittura una mappa patologica dei geni digitali: oltre a quelli con sintomi di Asperger, da Mark Zuckerberg a Craig Newmark, il fondatore di Craiglist, ci sono i dislessici come il fondatore di Apple, Steve Jobs, Richard Branson della Virgin (linee aeree, musica ma anche missioni spaziali con la Virgin Galactic), il finanziere Charles Schwab, fondatore dell’omonimo fondo d’investimenti e John Chambers che ha trasformato Cisco Systems in un gigante del software. Qui, più della creatività, ad essere esaltata da una patologia è lo sviluppo della capacità di governare sistemi imparando a delegare i compiti.
Che la determinazione che porta un’imprenditore al successo possa essere frutto anche di un atteggiamento mentale ossessivo, quasi patologico è cosa ipotizzata molte volte. Andy Grove – all’anagrafe Andras Istvan Grof, il pioniere ungherese dei semiconduttori arrivato negli Usa nel 1956 dove ha trasformato Intel nel gigante mondiale dei microchip – nel 1996 ha addirittura dedicato a questo fenomeno uno dei suoi saggi più famosi, pubblicato anche in Italia:
Solo i paranoici sopravvivono. Ma se la determinanzione estrema alimentata da ossessioni o alterazioni della personalità come il narcisismo possono diventare chiavi di successo, sicuramente è più inquietante scoprire che innovazioni capaci di aprire le porte del futuro possono essere, in parte, frutto di una patologia che rende l’innovatore un asociale. In Danimarca c’è addirittura una società di consulenza, Specialist People, che colloca lavoratori con problemi di autismo in società che offrono lavori molto ripetitivi e che richiedono una memoria di ferro.
Inquietante, ma non è una novità: vent’anni fa Steve Silberman fece scalpore con The Geek Syndrome, un saggio pubblicato dalla rivista Wired, nel quale questo giornalista scientifico dava conto di un fenomeno a quel tempo poco discusso: la moltiplicazione dei casi di autismo diagnosticati negli Stati Uniti passati, nei 40 anni dal 1960 al 2000, da 4 ogni 10 mila abitanti a un caso ogni 68 americani.
Silberman indicava tre cause possibili per questa enorme crescita: il miglioramento delle tecniche d’indagine medica accompagnato da una definizione più chiara di una patologia individuata da pochi decenni; un avvelenamento dell’ambiente, ad esempio gli acquedotti inquinati, capace di incidere sul sistema nervoso dei residenti; i matrimoni tra persone che già hanno nel loro patrimonio genetico lievi tracce di autismo.
Un incubo
Il saggista raccontò che proprio in quegli anni nelle scuole della Silicon Valley arrivava un numero anormalmente alto di ragazzi con problemi di inserimento sociale, spesso figli di coppie di ingegneri e programmatori delle aziende della Internet economy. Sono anni in cui si scopre che nell’autismo c’è una componente ereditaria. Ma ben presto le diagnosi preoccupate si trasformano quasi in un inno alle opportunità che si aprono per chi soffre: per i teorici della neurodiversità, dislessia, autismo, Asperger e altre patologie dell’attenzione che hanno trasformato in un incubo l’adolescenza di molti ragazzi bullizzati o emarginati dai compagni, diventano poi la carta vincente nell’attività professionale.
Anche avere un temperamento introverso può rivelarsi un dono prezioso: se lo sei non segui la corrente, cerchi la tua strada da solo. Nel 2013 il saggista Mark Roeder prova a rovesciare la teoria darwiniana della selezione naturale sostenendo nel libro Innatural Selection che il mondo dell’alta tecnologia è riuscito a creare una sorta di serra digitale dentro la quale le debolezze naturali prodotte da alcune patologie diventano forza: una trasformazione destinata a consolidarsi e a rafforzarsi con i progressi della farmacologia, dell’ingegneria genetica e dell’intelligenza artificiale. Due anni dopo, nel 2015, anche Silberman cambia rotta e sdrammatizza: in un nuovo libro, Neurotribes, abbraccia le teorie della neurodiversità. Che, dopo i sociologi, cominciano ad essere apprezzate anche da medici, come la psichiatra Gail Saltz, che in The Power of Different (Il potere di chi è diverso) conclude, dopo 10 anni di studi su un campione di pazienti, che chi svolge un lavoro creativo tende a considerarsi affetto da qualche patologia mentale molto più spesso rispetto ad altri professionisti che hanno un quoziente d’intelligenza analogo, ma svolgono ruoli assai meno creativi.
E per un Jack Dorsey, capo di Twitter, che, pur avendo ormai un rilevante profilo pubblico a causa
Questo è un diario tra Tianjin e Pechino, con qualche consiglio per chi vuole tornare a Pechino di questi tempi.
Giorno 1. Circondato
L’aereo da Fiumicino doveva andare a Pechino. Ma atterra a Tianjin, per tenere lontani dalla capitale assediata e impaurita possibili «contagi importati». All’aeroporto i pochi passeggeri sono presi in consegna da personale in tuta protettiva che ci sovrastano, numericamente. Non parlano sotto le maschere; solo gesti con le mani guantate. Incanalati verso posti di controllo: moduli sulla salute, movimenti passati e futuri, distribuzione di istruzioni, un foglio da firmare dice di non violare le regole, pena tre anni di carcere. Finalmente tampone. E avvio in pullman scortato dalla polizia verso il luogo dell’isolamento precauzionale.
Giorno 2. Gli alieni
Un uomo mascherato e scafandrato porta i pasti tre volte al giorno e li lascia su un tavolino davanti alla stanza dell’albergo di Tianjin dove sto trascorrendo la quarantena obbligatoria di 14 giorni per chi arriva dall’estero, in attesa (fiduciosa) di poter tornare a Pechino dove il
serve qualcosa». Q è una giovane signora graziosa (si vede dalla sua fotina su WeChat) guida la logistica del confinamento in stanza. Dirige i camerieri-infermieri in tuta da astronauta che portano i pasti tre volte al giorno. Miss Q ha già capito che tenere un italiano a riso bollito, acqua, verdure lessate a pranzo, cena e colazione non va bene. Questa mattina su WeChat ha annunciato: «Lo chef non è esperto di cucina italiana ma studierà e farà del suo meglio». Ha allegato un menù per i prossimi giorni che prevede ananas in guazzetto bianco, porcello in varie versioni, molte spezie, riso non più bollito ma fritto. Lo chef sta facendo pratica sugli ospiti della quarantena. Ma anche il Q dei film preparava gingilli esplosivi che non sempre funzionavano come aveva immaginato. Q ha aggiunto un altro tocco di umanità: ha rivelato il suo nome in inglese: Summer, Estate. Speriamo di essere liberi dall’incubo Covid-19 prima che finisca questa estate.
Giorno 5. Il dottor Chen
Ora conosco il medico che segue il mio isolamento. Mi ha concesso un selfie d’incoraggiamento sulla porta della stanza, senza entrare. Si
le bacchette. Due a colazione, due a pranzo, due a cena, fanno sei al dì. Stasera sono arrivato a 54. Le ho ammucchiate sul tavolino davanti al computer: ci gioco a Shanghai e sto diventando davvero bravo. Mi manca un avversario.
Giorno 10. Pizza alle ciliegie
Lo chef sta studiando a ritmo accelerato per preparare qualcosa di italiano secondo le istruzioni di Q. Oggi si è avventurato nella pizza. L’impasto lo sa fare. Ma perché ci ha messo sopra oltre al basilico e ai pomodori una manciata di ciliegie fresche? Dibattito tra i compagni di isolamento sanitario anti Covid-19. Risposta plausibile: ha letto da qualche parte su una ricetta in inglese «cherry tomatoes» (pomodorini), ha usato il traduttore sul telefonino e gli è uscito: ciliegie e pomodori.
Giorno 11. Malena
Il dottor Chen pensa davvero della salute psichica del paziente in isolamento. Un giorno sì e uno no invia link con brani di musica italiana. Oggi ha scelto la colonna sonora di Malena. In copertina Monica Bellucci. Ci sono anche Un’estate italiana e Pazza Inter (come fa sapere che sono tifoso della Beneamata?). Non si dovrebbe mandare Malena-Bellucci a
dal rigore politicamente corretto della capitale imperiale, dove tornerò domani a lavorare, ho trovato gente solidale con lo straniero stranito dall’isolamento. Spero che non siano le avvisaglie della Sindrome di Stoccolma.
Giorno 15. Commiato con fiori
Il tampone è negativo. Sono pulito, lo so da questa mattina presto, ma bisogna aspettare le 13.34, perché ero arrivato alle 13.34 due settimane fa. Miss Q mi aspetta giù in cortile con una sorpresa: tutto il personale sanitario schierato per il saluto. Scatola di dolcetti di Tianjin in dono con un mazzo di fiori e bigliettino personalizzato. Che non traduco... per non commuovervi.
Ultima pagina
Arrivo a Pechino. Mai stato così felice di esserci. Però, il palazzo dove abito da otto anni, fa entrare da una porta laterale, controllo della temperatura con pistola-termometro. Sono cordiali e mascherati, porgono altre carte da firmare, app sanitarie da scaricare. Esco a prendere aria: reti alte chiudono gli slarghi su cui si affacciano i grattacieli. Ogni comprensorio ha regole diverse, tutti sono chiusi agli estranei. Sbarrata anche la collinetta erbosa dove andavo a pensare.