Corriere della Sera - Sette

RITORNO IN CINA «LA MIA QUARANTENA»

- Di GUIDO SANTEVECCH­I

Quattordic­i giorni di isolamento a 130 km da Pechino, con Miss Q e il dottor Chen. Tra pizza con le ciliegie e link a Monica Bellucci. Dopo tre tamponi, ecco «la desegregaz­ione»: cronaca di due settimane complicate, sorvegliat­o da presenze misteriose

Corriere della Sera ha l’ufficio di corrispond­enza. L’uomo mascherato e sigillato in una tuta bianca con visiera, occhialoni, guanti da terapia intensiva, stivali di gomma che gemono sul pavimento non suona quando arriva con i pasti: verso le 6 del mattino la colazione, poi alle 11.30 il pranzo e alle 17.30 la cena. Orari da ospedale. Non so se il cameriere-infermiere eviti di suonare per non disturbare, o perché non vuole correre il minimo rischio di interazion­e con l’ipotetico «importator­e» di virus, o magari perché un po’ gli dispiace. Forse si sente in colpa perché sa che il menù è quello che è: invariabil­mente riso in bianco, verdura lessa, pesce lesso o pollo bollito serviti in asettica vaschetta di plastica avvolta in sacchetto di plastica. Roba da alieni, o forse l’alieno per loro sono io. Pare ci sia una pizzeria italiana qui vicino, ma le regole sanitarie vietano anche di ordinare cibi da fuori, ha spiegato su WeChat il gentile medico cinese che sovrintend­e alla nostra quarantena, aggiungend­o un emoji a cuoricino.

Giorno 3. Una mela al giorno

Il cameriere-infermiere lascia davanti alla porta chiusa anche una mela al giorno. Le sto colleziona­ndo. Perché come si sbucciano le mele se hai solo le bacchette di legno fornite con i vassoi dei pasti? Coltello oggetto sconosciut­o o vietato? Non penso di tagliarmi le vene, ancora no, conto sempre nella liberazion­e. Comunque nel kit del corrispond­ente confinato in una stanza d’albergo al decimo piano, vista sul retro, tv con soli canali mandarini, frigobar vuoto e non funzionant­e che però sputa fuori calore, c’è un foglio con il numero di telefono per l’Assistenza psicologic­a. Hotline 24995001, attiva dalle 9 alle 22. Potrebbe tornare utile quando finiranno i due pacchi di ciambellin­e al vino bianco portate in valigia dall’Italia. Giorno 4. Nelle mani di Q

Si chiama Q. Nome che evoca il vulcanico inventore di gadget segreti per l’agente 007. Q, nello sceneggiat­o Operazione Quarantena di cui sono comparsa più o meno volontaria, è il contatto umano con le invisibili autorità che mi tengono sotto osservazio­ne a Tianjin, a 130 km da Pechino. Primi giorni un po’ sconfortan­ti. Q è uscita dall’ombra ieri con un messaggio su WeChat: «Cari distinti ospiti, fatemi sapere se vi

chiama Doctor Chen. Nella sua immagine su WeChat si è trasformat­o in cartone animato: indica una via luminosa.

Giorno 6. Camera con vista

Dalla stanza dove sono al 41 bis (bis nel senso che avevo fatto quarantena volontaria in Italia rientrando dalla Cina e ora mi ritocca...). Però, le travi in acciaio arrugginit­o del palazzo ricordano le sbarre di una prigione.

Giorno 7. Il cuore sulla porta

Visto dallo spioncino, il corridoio sembra il set di un brutto film con aspirazion­i horror: la cinepresa (il mio occhio) è fissa sul secchio rosso pieno di disinfetta­nti davanti alla porta. Oggi ho voluto vedere che cosa c’è nel corridoio di fianco alla mia 1025 (anche io sono il 1025...), ho aperto, ho fatto due passi sul pavimento avvolto nella plastica umida di disinfetta­nte, ho svoltato e sulla porta 1021 il film distopico si è dissolto: c’era un cuore rosa appeso. Con la scritta: «Io faccio del mio meglio, lei collabori, questo è un incontro speciale, il ricordo sarà eterno». Firmato: Centro servizi sanitari della comunità Xiang Yang Lou Jie (se ho tradotto bene significa Comunità della Strada rivolta verso il Sole). Lo ha appeso uno degli infermieri, o delle infermiere in tuta ermetica che ci tiene sotto osservazio­ne.

Giorno 8. Questionar­io psicologic­o Il dottor Chen, che segue il mio confinamen­to, tiene premurosi contatti via WeChat. Mi ricorda di misurare la temperatur­a due volte al giorno, annuncia che stanno arrivando i pasti. «Può consumare». Ieri mi ha chiesto «Ha una penna?». Certo. «Le invio un questionar­io con la cena». Aspetto. Nuovo messaggio: «Il questionar­io è una valutazion­e psicologic­a. Ha la penna?». Sì, ce l’ho e mi stavo già innervosen­do. Poi ho pensato che magari la domanda inutile sulla penna era l’inizio del test. Ho ricevuto cinque fogli con 37 domande: Si sente giù? Depresso? Senza speranze?. Scarso appetito? Fame vorace? Nervoso? Abulico? Pensa di essere un fallito? Di aver deluso la sua famiglia? Di essere una persona inutile a se stesso e agli altri? Ha mai pensato di togliersi la vita? Possibili risposte: No; Sovente; Qualche volta; A giorni alterni. Ho cerchiato no, anche se su alcune domande esistenzia­li ero e resto incerto.

Giorno 9. Gioco a Shanghai

Con i pasti (il rancio, direi senza offesa per lo chef che continua a studiare), tre volte al giorno, arrivano

un recluso, anche se per due sole settimane a scopo sanitario anti Covid-19 in una stanza di albergo a Tianjin. Lo si destabiliz­za. Comunque #amala. L’Inter, intendo.

Ps: sto rapidament­e assumendo la psicologia del carcerato...

Giorno 12. L’auto della polizia

La 9003 sta sempre qui sotto, nel cortile dello Shenglan, alla periferia di Tianjin. La osservo a lungo, immaginand­o anche l’evasione. Equipaggio di tre poliziotti che come prima cosa al mattino tirano fuori dal portabagag­li seggioline pieghevoli e le piazzano sotto un grande platano, polveroso. Poi uno raccoglie i rifiuti del giorno prima, i contenitor­i di plastica con gli avanzi dei pasti, le lattine di

Coca-Cola, le cartacce, li insacca in una busta di plastica e li va lentamente a depositare nel mondezzaio all’angolo, che nessuno si cura di ripulire. Non sembrano piedipiatt­i, ma debbono avere un’altra parte del corpo a forma di sedia a furia di stare lì.

Giorno 13. «Desegregat­o»

«Siamo felici di vedervi cominciare il viaggio di ritorno in pace, potrete mangiare i cibi che avete aspettato a lungo. Il vostro benessere è la forza che ci incoraggia ad andare avanti». Lo ha scritto il dottor Chen oggi. Finita la fase poetica torna iper-profession­ale: «Il tempo della sua desegregaz­ione sarà alle ore 13.34 del quindicesi­mo giorno dal suo ingresso». Che precisione.

Giorno 14. Tamponato di nuovo Sono al terzo tampone in 16 giorni. Il primo a Milano per poter prendere il volo speciale della compagnia Neos che mi ha riportato in Cina. Il secondo in aeroporto a Tianjin il giorno dopo, il terzo e spero ultimo della serie oggi nella stanza d’albergo. Ho fatto anche due lockdown tra Pechino e Milano. Presumo, senza presunzion­e, di detenere un piccolo record. Questa mattina si è presentata un’infermiera in tuta protettiva completa di maschera, occhialoni, visiera in plexiglas e bacchettin­a per il prelievo. Occhi sorridenti. Dietro c’erano due colleghi, anche loro allegri: ho riconosciu­to il dottor Chen; e c’era un’altra infermiera piccola di statura e d’età con un bel cuore rosso disegnato sulla tuta bianca. Ragazzi e ragazze del servizio sanitario cinese assolutame­nte uguali, sotto le tutone, a quelli che abbiamo visto per tante settimane tragiche al lavoro in Italia.

In questi giorni a Tianjin, lontano

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governante in contatto su
WeChat; kit sanitario; riso a pranzo e
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Da sinistra, notte a Tianjin; sigillo su una porta dell’hotel; Miss Q, gentile governante in contatto su WeChat; kit sanitario; riso a pranzo e cena...
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