Jeanine, la leader ad interim che resta al potere in Bolivia
Jeanine Áñez è diventata presidente della Bolivia perché a novembre tutti gli altri “titolati” erano saltati: prima il capo dello stato per 13 anni, Evo Morales, il leader cocalero costretto alle dimissioni da scandali e proteste di piazza, tra la pressione dei generali e l’ammutinamento della polizia. Poi, come un domino, è toccato al vice, quindi al presidente del Senato e a quello della Camera. Finché è arrivata lei, avvocata, 53enne, seconda vicepresidente del Senato per l’opposizione di centrodestra quasi per caso: s’è detta disposta a prendere la carica “ad interim” per organizzare elezioni “libere e democratiche” in 90 giorni. Ma le varie date ipotizzate passavano e Áñez, mentre postponeva il voto, afferrava il potere con sempre maggior decisione. Ha autorizzato l’uso letale della forza da parte di polizia e militari sulla folla, salvo poi ritirarla; la sua amministrazione ha lanciato una campagna anticorruzione e antiterrorismo che ha anche rastrellato molti capi dell’opposizione. Contro il Covid ha imposto una quarantena strettissima e invitato a digiunare e pregare contro il virus: ora il sistema sanitario è al collasso, e nuove vittime cadono fra le tribù indigene. Alla fine la data per il voto la presidente “ad interim”, dopo aver a lungo resistito, l’ha ufficializzata: il 6 settembre. In questi mesi Áñez ha anche cambiato idea sulla sua candidatura: la escludeva, ora non più. In fondo l’ha visto anche lei: il potere logora chi non ce l’ha.