Valentina, oltre i foulard
Abituati come eravamo a vederla fasciata nei suoi foulard e nei drappeggi perlopiù candidi, seduta a raccontare la sua vita nel salotto fintamente demodè, forse pensavamo a Valentina Cortese come a una vecchia signora simpatica e poco più.
Ma se andate online a vedere qualcuna delle sue interpretazioni, per esempio Il Giardino dei ciliegi, sarete travolti dalla luce, dalla musicalità dalla levità e dalla grazia della parola. Insomma dalla forza di quella che è stata e sempre sarà un’attrice. Una magia attoriale che a Berlino, per I giganti della montagna, sempre per la regia del grande amore della sua vita, Giorgio Strehler, ha avuto 48 minuti di applausi. Un talento assoluto che aveva da sempre coltivato con la convinzione di una vocazione precoce. Da bambina, data a balia a una famiglia di campagna dalla madre che voleva seguire le sue passioni musicali, era riuscita a convincere il “papà” contadino a improvvisarsi falegname per costruirle un teatrino che lei faceva vivere nel fienile.
Poi le prime a teatro con i nonni borghesi miracolosamente ricomparsi a integrare la sua educazione, da lì un curriculum denso di esperienze, i primi film negli anni Quaranta con Alida Valli e Anna Magnani, la intensa trasferta hollywoodiana dove lavorò con James Stewart e Spencer Tracy in Malesia e con Orson Welles in Cagliostro. Scriveva allora di lei il New York Times, il quotidiano suo grande talent scout nel 1948: «Superba, una gradevole nuova attrice italiana: eccezionale scioltezza e fascino femminile». Conobbe il gotha hollywoodiano di allora, che poi raccontava con piccole pennellate: Marilyn (Monroe) che «sembrava una nuvola di panna montata»; Marlene (Dietrich) «la donna
Corriere
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