Ingrid Bergman, un angelo che cucina gnocchi alla romana
Bessie Breuer, una delle più note scrittrici americane, abita ora l’Accademia americana, al Gianicolo, ma non in quanto Bessie Breuer: il premiato è suo marito, il pittore Poor, e sua figlia Anne ha avuto un altro premio per la pittura murale, detto, dal nome del fondatore, «Premio Abbey». Bessie Breuer non ne sembra affatto dispiaciuta, ma, se mai, leggermente imbarazzata, lo stesso imbarazzo delle vecchie regine in incognito, delle attrici illustri che nessuno riconosce per la strada, e ne soffrono, immaginando la confusione di chi, improvvisamente, riconoscesse la loro straordinaria qualità.
I racconti brevi di Bessie Breuer figurano infatti in tutte le raccolte antologiche che, anno per anno, selezionano i capolavori; da un suo romanzo venne tratto un film ammirevole: In name only, interpretato da Carole Lombard e Clark Gable; un suo dramma: Sundown beach diretto da Elia Kazan e interpretato da Julie Harris, allora debuttante, viene considerato esemplare dalla critica; il suo romanzo The Daughter, tradotto ora in francese, si ristampa continuamente. Popolare presso le masse, Bessie Breuer è popolarissima nel cerchio della New Bohemia di Nuova York, il clan letterario dei Tennessee Williams e dei Truman Capote. Non si è certo abituata alla sua fama. Anzi, una sensibilità veemente, un pudore rigoroso e sempre turbato, il gusto tecnico e l’amorosa paura delle parole, danno a questa donna, anziana e non bella, gli improvvisi rossori di certe adolescenti infelici, e si segue quasi con dolore l’affluire impetuoso del sangue a quelle guance pesanti. Ansiosamente si dilatano le grosse narici, un balbettio riflessivo si alterna a lunghi silenzi: così i puntini di sospensione che fittamente interrompono le sue lettere private, che sospendono, quasi in una ricerca di precisione, il fluire, altrimenti vivace, dei suoi libri, testimoniano lo scrupolo, o addirittura il rimorso, di una narratrice costretta alla testimonianza, poiché atterrita dalla spiegazione assoluta.
Scende di rado in città, espiora Roma cautamente, con un ritegno che si può scambiareper orgoglio ed ignora i salotti letterari, che puntualmente ignorano lei, del resto. Abita il villino Aurelia, uno dei tanti edifici minori, costruiti nel parco intorno all’edificio centrale, la Villa Aurelia, dove il direttore Laurence Roberts e la sua incantevole moglie Isabella danno ricevimenti memorabili tra gli artisti romani e raccolgono, in un lusso tranquillo, i paraventi di Dario Cecchi, i disegni di Fabrizio Clerici e le sculture di Marino Marini.
L’Accademia americana dipende da un’iniziativa privata prima che dallo Stato, ed ospita quindi solo una parte dei numerosi intellettuali inviati a Roma per un periodo, generalmente breve, di perfezionamento o di vacanza. Ci sono una infinità di premi già storici, quali il Pulitzer, e ce ne sono altri recentissimi, detti Fullbright: possono concorrere ai Fullbright anche gli Italiani nati in America da genitori italiani e tornati qui in fasce; proprio in questi giorni un pittore poverissimo, e per caso nuovaiorchese, ha avuto il suo Fullbright. I Fullbright perpetuano il nome di chi stabilì, con decreto, uno scambio internazionale di ospitalità e di aiuti, ed il Governo italiano o qualsiasi altro Governo europeo accolgono i futuri archeologi, architetti, incisori, scultori, pittori, pagandone il soggiorno in conto riparazioni.
Generalmente l’assegno degli studenti è di 2500 dollari l’anno, e lo si raddoppia per la eventualità di una moglie, lo si arricchisce ad ogni figlio. I professori di Belle Arti, o, in generale, le glorie riconosciute, ne hanno 5000, più un appannaggio per la moglie e per ogni figlio minorenne. Ci sono anche altri vantaggi, talvolta la residenza gratuita a Villa Aurelia, talaltra ia possibilità di viaggiare in Oriente, di concorrere a nuovi premi. Si cerca però di evitare una sosta troppo lunga in Italia: chi abita qui cinque o sei anni è poi incapace, dicono, di riadattarsi al modo di vita americano, e scivola nella inerzia, raffinata e forse insolente, particolare agli eroi di James o di Scott Fitzgerald.
I domestici dell’Accademia sono tutti italiani ed appaiono stupefacenti ai nuovi arrivati. La signora Breuer mostra, attonita, i due fornelli a gas dove una custode-cuoca le prepara cibi meravigliosi, chiacchierando e sorridendo cordialmente, onestamente, ma secondo uno schema già letterario, la cuoca italiana che figurerà in un romanzo di Bessie Breuer.
«Ma devo comprarle un forno – sospira la signora Breuer-Poor – perché ci vuole il forno, per preparare gli gnocchi alla romana, quelli di semolino. Li ho mangiati dai Rossellini, e Ingrid mi ha dato la ricetta. E ora, vorrei spiegarle che Ingrid è... un angelo... perché...».