«CREDETEMI: L’ITALIA HA UN PROBLEMA E NEGARE NON AIUTA»
Stella Jean è un’italiana con la pelle nera. Padre di Torino e mamma di Haiti. Accento romano-romano, perché nella capitale è cresciuta. La «stilista dell’integrazione» dicono di lei. «Ho solo fatto dialogare le stampe dell’Africa con le linee d’Europa», risponde raccontandosi. E avrebbe voluto occuparsi solo e soltanto del suo lavoro. «Ma non ce l’ho fatta, non potevo restare immobile di fronte a tutto questo negazionismo e razzismo a chilometro zero», aggiunge riassumendosi. Perché il 7 giugno scorso, la giornata del #blacklivesmatter, è scesa in piazza, è salita sul palco e ha cominciato. Anzi ha ricominciato.
«Già, da quando ho il mio primo ricordo, non è cambiato nulla. Eppure ho 41 anni appena compiuti. Quindi tanta vita. Il muro più grande è il negazionismo. Quando mi dicono: “Stella, ma di cosa parli? Il razzismo in Italia non esiste. E aggiungono “io ho anche un amico nero” o “pensa, la mia tata era nera” mi fanno arrabbiare ancora di più: come se questi fossero dei salvacondotti. Invece è un razzismo vestito di perbenismo, profumato di buono. Ma ha esiti dolorosi. Molto. Perché è quotidiano, perché non c’è una consapevolezza di quello che succede».
La prima e l’ultima memoria della sua discriminazione quotidiana?
«I compagni che urlavano “mamma quella bambina sembra una scimmia” e i genitori che scoppiavano a ridere. Poi sono arrivate le pressioni fisiche e le minacce. E prima di imparare a leggere impari ad addomesticare il dolore e per un bambino, credetemi, è tanto. Cerchi di incassare senza dare soddisfazione. E sei sempre in allerta. Da ragazza più di una volta sono stata aggredita sui mezzi pubblici. Più di una volta mi hanno sputato addosso. A ferirmi non è stata la maleducazione, l’ignoranza del singolo, ma l’indifferenza della collettività. Può esserci il disgraziato di turno, ma quando la gente si gira dall’altra parte, ed è la tua gente perché io sono italiana, quello ti colpisce ancora di più. Arriviamo all’oggi con io e mio marito che corriamo a scuola per altre minacce vergognose e in polizia per una denuncia. E poi non vivere e scortare ovunque mia figlia che mi supplica di non fare i nomi e cognomi per paura. Vado avanti?».
Certo, continui.
«A febbraio quando ho cerca