Mita Medici, le Orme e Mario Corso: merende per molti
L’EDIZIONE ESTIVA DI JOKER («Antò, fa caldo» diceva Luisa Ranieri in una insinuante pubblicità) con la refrigerante puntata sulle Orme, i Procol Harum e Mita Medici (una piccola ricerca pop del tempo perduto Anni 60/70) ha infastidito Paolo Tornari: «Talvolta la sua rubrica prende una deriva poco utile, forse divertente per lei e per chi imbastisce aneddoti con lei. Anche l’articolo sul rock e Mita Medici era una merenda per pochi, quasi un veganesimo a detrimento dei più (tra i quali mi metto) che restiamo a digiuno. Attento perché di questo passo arriveremo alla supercazzola di antica memoria».
È CERTO DI CIÒ CHE DICE? La rubrica dalla «deriva poco utile» è piaciuta molto. Cito soltanto alcuni dei tanti messaggi ricevuti. Umberto Brindani (illustre collega): «Finalmente si torna a parlare delle Orme, ingiustamente snobbate dai puristi del rock progressivo, che celebravano la Pfm… Grande!». Sandro Piazzoli: «Concordo su Mita Medici nel film Pronto… c’è una certa Giuliana per te, sui Procol Harum e sulle Orme: “Dondola, dondola, il vento la spinge…”».
E BRUNO COLOMBO, cantore della Generazione Mita, riscrive volando altissimo: «La ringrazio per aver condiviso, ricordando Mita Medici, un frammento comune di tenera pubertà precoce. Mita aveva occhi profondi, egizi.
Ballando orgogliosa e altera sembrava una Marianna che sventolava un vessillo con una sola parola, giovane. Quello eravamo. Pensavamo di aver scoperto una identità, una unione, una spinta generazionale. Avevamo la nostra musica, le nostre riviste, i nostri capelli un poco più lunghi, le nostre muse ormonali. Sylvie Vartan, con blouson noir da maschiaccio, una giovane Romina Power, che sussurrava Acqua di mare, e lei Mita, inarrivabile e aliena. Ma poi arrivò Franco Califano, e che dire, per me una extrasistole mai rientrata...
P.S. Mi fa troppo piacere scambiare figurine con lei».
A PROPOSITO DI FIGURINE (saranno gli anedocta di Tornari?), guardi, Bruno, il gioco delle coppie: Sylvie Vartan/Johnny Halliday, con lei che in morte di lui dice: «Come tutta la Francia ho il cuore spezzato» (domanda al lettore Tornari: e se non piangi, di che pianger suoli?). E poi Mita Medici/Franco Califano (il Califfo, l’autore di E la chiamano estate, testo che per me, senza se e senza ma, senza sapere né leggere né scrivere, lo colloca come poeta accanto a Eugenio Montale). Mita e il Califfo abitavano in una palazzina di Via Castiglione del Lago al Quartiere Fleming, la stessa dove vivevano pure Renzo Arbore, Mario Marenco, i Primitives, Shel Shapiro, Laura Antonelli e, a volte, ci capitava anche Edwige Fenech. Non era un condominio, era il Paradiso.
IL BRUTTO DI AVERE una rubrica sono gli scocciatori. Il bello è che si fanno vivi anche vecchi amici che non senti da tempo. Come Manrico Ferrucci che il 20 giugno mi ha scritto: «Oggi tutti interisti. Buon calcio nelle celesti praterie Mario Corso». Due domande al lettore Tornari. Anche il piede sinistro di Dio era «una merenda per pochi»? E la punizione a foglia morta di Mariolino una supercazzola?