Segni e stati d’animo nei vocabodiari Covid
Un’ulteriore conferma del segno che questa pandemia ha lasciato e sta lasciando su di noi viene anche dalle reazioni che continuano ad arrivare alla mia sollecitazione sul «vocabodiario» del virus. Particolarmente interessante l’esperimento di Giovanni Faccio (facciogianni@ gmail.com), che riporta i risultati di un «mini sondaggio fatto tra 30 persone amiche» a cui ha chiesto di indicare «10 parole con cui sintetizzare come hanno vissuto i mesi di forzata clausura pandemica». L’esito è stato quanto mai variegato: 240 vocaboli diversi, «da attico, cucina, giardinaggio, agricoltura, a capovolgimento, alleggerimento, avulsione, dicotomia, soggiogare arrivando a Dio attraverso Stati Uniti, virtualità, verità». Tra le 60 parole indicate da più di una persona, ci sono «silenzio, paura, isolamento, impotenza, scelte da cinque persone e dolore, scelta da quattro». Poi «11 parole con tre preferenze: ansia, clausura, condivisione, contatto, controllo, coraggio, incertezza, libertà, speranza, tempo, tristezza», e più di una ventina scelte da due persone». Parole che con i loro incroci, nota Giovanni, danno un preciso scenario dei nostri «stati d’animo e psichici» in quei giorni così difficili. In parte simili, peraltro, a quelli che Vera Gheno ricostruisce nel suo e-book Parole contro la paura
(Longanesi).
Si può confinare il lockdown?
Giuseppe Federico (zoris4@gmail.com) ritorna invece sulla questione di lockdown, notando come «nel primo periodo di diffusione del Coronavirus, i giornali parlando delle misure consigliate per contenere l’epidemia usassero il termine isolamento». Dico ritorna, perché sull’uso della parola inglese da parte dei media italiani c’è stata nei mesi scorsi un’accesa discussione. La recente affermazione di lockdown nella nostra lingua è ricostruita in un articolo di Matilde Paoli apparso a giugno nella rivista telematica Italiano digitale.
Almeno dal 2013 la parola era usata anche in italiano in riferimento a sparatorie, attentati o altre situazioni d’emergenza con il significato originario di «restrizione momentanea della libertà delle persone imposta per garantire la loro sicurezza». Dall’inizio di quest’anno, prende a essere impiegata in ambito internazionale per indicare le misure di contenimento legate all’epidemia da Coronavirus, dapprima nella provincia cinese di Hubei. Quando a marzo quelle stesse misure vengono adottate anche in Italia, di lockdown si comincia a parlare anche da noi. Notevole la frequenza con cui la parola appare in questi mesi nelle pagine dei quotidiani: fino alla metà di maggio ne vengono segnalate 233 ricorrenze nel Corriere della sera, 1.549 nella Stampa e 2.548 nella Repubblica. Anche se in molti articoli la parola inglese si alterna e accompagna a parole italiane come chiusura, serrata, blocco, blindatura o appunto isolamento.
Negli ultimi tempi anche confinamento: il vocabolo proposto da Claudio Marazzini, presidente dell’Accademia della Crusca, tenendo presente l’uso del francese (confinement) e dello spagnolo (confinamiento).