Corriere della Sera - Sette

L’amicizia ha bisogno di complicità, non di presenza

- CHIARA GAMBERALE ROSELLA POSTORINO di SILVIA AVALLONE

Una volta ce lo siamo proprio dette:

più avanti». In effetti, era poco ragionevol­e pretendere di aiutarsi se una si stava fidanzando

e l’altra lasciando, se una era tutta presa dal lavoro e l’altra dalla maternità. Crescere insieme

è una cosa difficile, se non impossibil­e, da fare in contempora­nea. I silenzi tra noi ci sono

stati, eppure istintivam­ente non abbiamo mai messo in discussion­e il nostro legame. Anche

quando non c’eravamo l’una per l’altra, sentivamo comunque la nostra reciproca presenza.

Perché?

«È inutile che stiamo qui a non capirci. Ritroviamo­ci

Azzardo: perché questa presenza era costituita d’assenza.

Dopo i primi due anni di superiori, abbiamo sempre vissuto a centinaia di chilometri di distanza.

In città diverse, poi addirittur­a in Stati diversi. E se questa amicizia è così tenace, credo,

non è tanto merito nostro, quanto del fatto che la distanza non separa, a volte, cementa.

Non abbiamo potuto, Erica e io, darci appuntamen­ti e offenderci in caso di rinvio. Né provare

gelosia per le altre amicizie, per i nostri mariti o figli. Il nostro luogo non è mai stato la

Siamo, in sostanza, due amiche di penna, quotidiani­tà. due amiche immaginari­e. Anime che possono dirsi tutto.

E, con le fragilità rivelate, abbiamo reso granitica

la nostra amicizia.

Erica e io abbiamo resistito a università, lavoro, matrimoni, figli. È la mia migliore amica dalla quarta ginnasio: ventuno anni e diverse rivoluzion­i. Mi chiedo come ci siamo riuscite. Siamo due figlie uniche, assetate di sorellanza, ma non potremmo essere più diverse. In certe occasioni ci siamo deluse, per lunghi periodi non ci siamo sentite.

Le paure più inconfessa­bili, le insicurezz­e di cui più mi

vergogno, Erica le sa. Confidando­le a lei, provo a conviverci.

Ascoltando lei mettersi a nudo allo stesso modo,

mi confronto, ma senza competizio­ne. Non assistiamo a

quel che accade nelle nostre vite. Cerchiamo le parole per

dire l’una all’altra l’invisibile che ci portiamo dentro.

Quando suo figlio piccolo dorme, lei mi manda un

vocale. Prima di andare a prendere mia figlia al centro

«Amo moltissimo

il giuoco del

calcio, un amore tenace il mio,

non un fuoco di paglia. Le mie

compagne hanno tanta passione

e buona volontà: non tramontere­mo

mai» prometteva Rosetta

Boccalini, nel 1933, intervista­ta

sulla rivista

Solo un giuoco, un amatissimo

giuoco. Che però Rosetta e le sue

compagne, un manipolo di “tifosine”

— come si diceva allora —

milanesi, le prime donne in Italia

a fondare una squadra di calcio, il

Gfc, Gruppo Femminile di Calcio,

non poterono giocare a lungo: il

fascismo glielo impedì. La loro

storia, a lungo dimenticat­a, è diventata

un romanzo,

(Solferino) scritto dalla giornalist­a

del

Federica Sene

 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ?? Le ragazze del Gruppo femminile calciatric­i milanesi durante un allenament­o a Milano, nel
1933 (archivio di Francesco Bacigalupo, figlio di Brunella Bracardi)
Le ragazze del Gruppo femminile calciatric­i milanesi durante un allenament­o a Milano, nel 1933 (archivio di Francesco Bacigalupo, figlio di Brunella Bracardi)

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy