QUELLE RAGAZZE CHE SFIDARONO A CALCIO IL DUCE
ghini, che ha ricostruito la loro
vicenda sulla base dei documenti
dell’epoca, della testimonianza
dell’ultima superstite e dei ricordi
dei parenti delle protagoniste.
Restituisce finalmente giustizia a
un gruppo di ragazze i cui sogni
furono
bruscamente
interrotti
dal regime, e mostra uno dei
modi più insidiosi in cui agiscono
non solo la violenza le dittature: e la repressione politica che tutti abbiamo ben presenti, ma una più ampia — e forse duratura — distruzione di possibilità di vita per le persone.
Bisognerà aspettare il 1968 per
vedere il primo campionato ufficioso
di calcio femminile, il 1986
per avere quello istituito da una
Federazione strutturata.
E pensare che Rosetta, nel ’33
ancora un’adolescente che studiava
da maestra, sua sorella
Marta,
sarta,
Strigaro, commessa, erano riuscite
con la loro grandissima intraprendenza
a ottenere il consenso
del presidente del Coni e della
Figc, Leandro Arpinati, un fascista
della prima ora, che in passato
aveva guidato pestaggi e scontri
a Lodi, la città di origine delle
sorelle Boccalini, ma che era anche
un vero cultore dello sport.
Aveva aperto all’“esperimento”
«pur riconoscendo del calcio femminile che la sua diffusione non è opportuna»,
all’epoca la
l’amica Losanna
come scrisse
e «concesso l’autorizzazione alla
società milanese a praticare il
Ogni attività giuoco del calcio. deve però svolgersi in privato, cioè su campi cintati e senza l’ammissione di pubblico».
L’obbligo di non essere viste
non era l’unico: le ragazze furono
spinte a chiedere un certificato
medico a Nicola Pende, il direttore
dell’Istituto di biotipologia individuale
portato alla luce le vicende del Gfc, e autore del saggio pubblicato nell’appendice di «Ragionava con criteri solo politici: lo sport doveva servire a sfornare campioni e campionesse che dessero lustro al fascismo».
Starace impose la chiusura del Gruppo femminile calcio e spedì i funzionari del Coni a saccheggiare le squadre per trovare ragazze da trasformare in atlete di altri sport: quelli olimpici o che comunque prevedevano tornei internazionali in cui l’Italia potesse farsi valere.
Le vicende finali del romanzo intrecciano il tentativo di organizzare la prima partita intercittadina, con una squadra di Alessandria che aveva tratto ispirazione dal Gfc, nonostante la repressione del regime, con la vicenda della famiglia Boccalini, accusata di antifascismo (Giuseppe, il marito di Giovanni, finì al confino).
Non è un caso: ci voleva una buona dose di incoscienza e insieme libertà — prima di tutto mentale — per fare quello che all’epoca nessuno riusciva neanche a immaginare. Il serissimo “giuoco” del calcio in fondo altro non è che un esercizio di ciò che serve anche a essere libere: forza, determinazione, coraggio di inseguire i propri obiettivi. «È la cosa che mi ha colpito da subito di Rosetta, Marta, Losanna e tutte le altre ragazze: sono state delle pioniere», dice Seneghini. «Per questo mi piacerebbe che Milano le ricordasse intitolando loro una strada o un campo sportivo». Sarebbe bello che il sindaco Beppe Sala raccogliesse l’appello.