GIRATE L’ANGOLO DELLA MOVIDA: BENVENUTI IN VIA GOLA
A Milano, a due passi dalla Darsena, c’è un ponte che unisce Alzaia Naviglio Pavese e via Ascanio Sforza e che fa da confine invisibile, ma chiarissimo a chi sa guardare, tra la movida e una zona franca: via Gola. Un territorio dove la pandemia ha frizzato le vite dei suoi abitanti per mesi (come quella di qualsiasi italiano) e dove le meccaniche sociali e le situazioni al limite non sono cambiate, anzi si sono estremizzate. Perché se da un punto di vista virologico siamo tutti uguali, da molti altri punti di vista - sociali ed economici - non lo siamo affatto. Come il digital divide è stato amplificato nei giorni che hanno visto la tecnologia diventare bene di prima necessità, così la casa in cui ci siamo rifugiati dal virus esalta le differenze tra noi.
Gli edifici residenziali dell’isolato compresi tra via Gola, via Pichi e via Borsi sono di proprietà Aler e
A un passo dalla Darsena, a Milano, inquilini regolari e abusivi abitano in una bolla. Tra citofoni rotti, la caldaia che si blocca, gli spacciatori. Ma qui non tutto è perduto
le segnalazioni. Prima dell’emergenza Covid se andava bene usciva il tecnico, faceva un controllo e un verbale, assicurando che qualcuno sarebbe arrivato. Adesso, dopo il lockdown e con le misure sanitarie di sicurezza in corso, si prega che tutto fili liscio, altrimenti chissà quando si riuscirà ad avere una risposta qualunque.
Negli anni la ormai celebre Via Gola è stata la più resiliente di tutta Milano: uguale a sé stessa, non conosce quiete tra le tempeste. Se n’è parlato molto, mai per virtù, spesso per colpe: una via con una lunga storia di illegalità, spaccio, occupazioni, che ha subito i mutamenti senza cambiare. Le droghe si sono alternate come le mode: l’eroina fino ai Duemila, la cocaina nel primo ventennio, la marijuana che accompagna. Via Gola ospita centri sociali con attivisti politici che, tra alti e bassi, torto e ragioni, non l’hanno mai abbandonata. Ci vivono affittuari regolari, abusivi di ogni sorta e origine (che occupano oltre il 50% delle unità abitative), studenti e famiglie, inquilini dei palazzi privati ai numeri civici pari. Un insieme scoordinato di persone e personaggi fuori da ogni ordine sociale. Questa strada ha assistito inerme a molte risse per strada, per debiti di droga non saldati o un piede sbagliato pestato. Ha registrato storie sconosciute alle cronache. Come quella della pseudo-investigatrice che si aggirava di notte bussando alle porte con una pistola. O quella del ragazzo, occupante irregolare, che una volta dimenticò le chiavi dentro casa e per non chiamare i vigili del fuoco scavalcò il balcone del vicino cadendo dal secondo piano: ha passato anni da solo in rianimazione per poi morirci.
Lo spaccio anni fa non toccava gli abitanti, non metteva paura. Qualcuno ora dice: si spacciava, per assurdo, con un certo rispetto, riconoscendo le persone di zona e quelle di passaggio. Cioè: ci lascia
vano in pace, patti e ruoli definiti. Da un paio d’anni non è più così A fine gennaio 2020 un’educatrice dell’asilo è stata scippata e aggredita, stessa sorte per un’altra abitante di qui qualche settimana prima. Episodi che non erano mai capitati. E la sensazione di tutti, inquilini dei palazzi privati e delle case popolari, è quella di essere esposti.
Siamo a un punto di non ritorno, la criminalità ha cambiato volti e forma, le mine vaganti in cerca di una dose sono incontrollate. Per alcuni, una della cause è il trasloco del Sert da via Conca del Naviglio e via Albenga proprio in via Gola, che ha portato con sé anime in pena in un nonluogo che di dipendenze e mostri ne aveva già abbastanza. Per non contare gli spacciatori, che durante i blitz della polizia si rifugiano dove capita approfittando dei portoni rotti, scavalcano i cancelli dei giardini che separano i cortili e in un attimo spuntano in un altro palazzo. In piena pandemia i clienti si sono spinti a cercarli fin sui pianerottoli. Adesso basta, dicono i residenti: arrivano, sputano davanti alle nostre porte, buttano i mozziconi, toccano i corrimano delle scale e noi dobbiamo disinfettare ogni minuto...
Chi vive in questo isolato è stanco di venir ripescato quando succede qualcosa di enorme, come dopo i roghi di Capodanno o per il servizio di Striscia la Notizia durante il quale Vittorio Brumotti è stato preso a sassate. Perché la vita qui è tutti i giorni. A inizio 2020 qualcosa sembrava stesse cambiando. Un blitz della polizia a settimana si concludeva con lo sgombero di uno o due appartamenti occupati abusivamente. L’emergenza ha bloccato tutto e la via è tornata a essere la solita, abbandonata. Un gesto di solidarietà da parte di Aler è stata la sospensione del canone di locazione e l’attivazione di un numero verde di sostegno psicologico. Ma non basterà. Ci si chiede quale sarà il futuro di questo micro mondo. E mentre si aspetta ci si arrangia da soli. Si sistema il verde comune, si organizzano grigliate e si cerca di aggiustare l’aggiustabile. I nonni hanno visto i propri figli, seguiti dai nipoti, crescere dentro questa bolla urbana. I ragazzi giocano a pallone per strada e i profumi evocano cibi e culture varie, talvolta mischiati a un odore pungente di marijuana. Si sopporta e supporta, anche le persone che andrebbbero definite - secondo il politicamente corretto - borderline. Ci si cura l’uno dell’altro, creando una comunità che non teme differenze di razza, religione o status economico. Proprio questo senso di appartenenza potrebbe essere la leva da muovere in un futuro, magari prossimo, per consegnare alle persone un nuovo quartiere, perseguendo la sicurezza e rispettando nello stesso tempo l’equilibrio umano di uno degli incroci più belli di Milano.