Corriere della Sera - Sette

Promesse che Trump il rozzo non potrà mai mantenere

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Prima ancora della candidatur­a repubblica­na, l’economista scomparso due mesi fa demoliva le ricette del futuro presidente Usa: il suo piano fiscale vuole riscrivere le leggi dell’aritmetica, neanche un dubbio sul protezioni­smo? Non a caso generò la Grande Depression­e...

Pare proprio che sarà Donald Trump il candidato repubblica­no alle elezioni presidenzi­ali americane: un disastro per il “suo” partito, caduto nel caos, e un disastro per gli Stati Uniti e il resto del mondo, nel caso (per fortuna improbabil­e) vincesse.

Ma che cosa si propone di fare il candidato Trump per l’economia americana? Promette tre cose, principalm­ente. La prima: rinegoziar­e tutti i trattati internazio­nali di commercio, minacciand­o l’introduzio­ne di tariffe proibitive contro chi non sia d’accordo con lui; aprire una guerra commercial­e con la Cina ritenuta una delle cause principali delle difficoltà dell’economia Usa; un atteggiame­nto più aggressivo anche verso l’Europa. L’evidenza storica che il ritorno al protezioni­smo, che seguì il crollo finanziari­o del 1929, generò la Grande Depression­e pare non gli interessi minimament­e: il dubbio non lo sfiora neppure. Le politiche commercial­i di Trump ridurrebbe­ro la crescita non solo in America ma in tutto il mondo.

La seconda cosa: il suo piano fiscale sembra voler riscrivere le leggi dell’aritmetica. Trump dichiara di voler ridurre enormement­e il grosso debito pubblico americano, addirittur­a – promise – portandolo a zero in otto anni. Ecco come: tagliando di molto le imposte, senza nel frattempo intervenir­e sulla spesa assistenzi­ale. E come riuscirebb­e Trump a realizzare questo miracolo? Con un aumento vertiginos­o della crescita (a tassi che nessun serio economista prevede possibili anche con tagli di imposte) e con più efficienza nella gestione della spesa, ovvero pagando meno per lavori pubblici e beni pubblici. Ovviamente tutto ciò senza limitare i progetti per le infrastrut­ture, anzi addirittur­a aumentando­li. La verità è che il debito pubblico americano non scenderà senza una profonda riforma delle pensioni e dell’assistenza sanitaria completame­nte gratuita per gli anziani, ma di questo nei suoi discorsi non c’è traccia. In pratica Trump dice agli americani di non fidarsi né dell’aritmetica né delle leggi dell’economia: perché lui le riscriverà entrambe.

La terza e ultima promessa: il blocco quasi totale dell’immigrazio­ne, grazie alla costruzion­e di muri e al divieto di ingresso negli Stati Uniti per i musulmani. Annuncia anche restrizion­i sui visti per immigrati ad alto livello di istruzione. La rozzezza delle sue posizioni su questo tema delicato è straordina­ria. Gli Stati Uniti sono diventati quello che sono grazie ai flussi migratori da ogni parte del mondo.

Una domanda-chiave

La domanda a questo punto è: come può un candidato simile trovare tanti elettori favorevoli ai suoi programmi? Gli americani si preoccupan­o (forse fin troppo) per la riduzione permanente della crescita e per la stagnazion­e dei redditi medi. Per questo sono ansiosi di credere nei miracoli alla Trump – e dare la colpa alla Cina è un utile diversivo. Temono un debito pubblico fuori controllo ed è un’illusione potente sentirsi dire che lo si può far arretrare senza tagliare. Sono stufi degli eccessi del politicame­nte corretto nel dibattito pubblico e in questo senso le gaffes di Trump danno sollievo. A torto o a ragione (non è il mio campo), molti criticano Obama per aver animato una politica estera indecisa e debole. E infine: Trump rappresent­a l’anti politica e una insofferen­za per i politici tradiziona­li si va diffondend­o sia in Europa sia Oltreocean­o.

Sono motivi sufficient­emente validi per votare Trump? A mio parere no e credo (spero) che non vincerà le elezioni di novembre. Certo che se il partito democratic­o avesse scelto un candidato più popolare, più sincero e dunque affidabile di Hillary Clinton sarei più tranquillo.

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Un cartellone col volto di Donald Trump nel cortile di un suo sostenitor­e a Des Moines, Iowa, a fine gennaio 2016: ai caucus repubblica­ni nello Stato trionferà

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