Perché censuro i film “per tutti”
L’estate è fatta apposta per guardare un film alla sera in tv con i bambini. Ma quale? Quelli definiti “per tutti” sono i peggiori, l’ultimo che abbiamo iniziato esibiva tre nudi frontali e due amplessi ripresi dall’alto nei primi quindici minuti. Paradossalmente si rischia meno con i film consigliati ai maggiori di 12 anni: almeno avvertono che c’è un problema.
E anche se i miei figli di anni ne hanno solo 11, si sa: gli undicenni del 2020 sono come i diciottenni di una generazione fa. Dunque ci provo.
Non sempre finisce bene. Spesso uno dei due genitori, al culmine di una situazione scabrosa, rompe gli indugi e interviene con forme improvvisate di censura, tipo una coperta alzata di fronte al video o, nei casi più gravi, il tasto stop del telecomando (di solito il censore è il genitore che non aveva scelto il film, tra le scuse dell’altro che ripete «non avevo idea»). Non è solo o tanto il sesso. Sono le situazioni, i dilemmi morali cui alludono, che possono sembrare eccessivamente conturbanti per una mente che si immagina “innocente”: la pena di morte, per esempio; un padre violento, una madre col cancro. Ti domandi: ma a questa età, è giusto che siano messi di fronte a emozioni così forti, al lato oscuro della vita? O è troppo presto?
In realtà l’idea dell’”angelismo dell’infanzia” è recente, è romantica, come tante delle idee che ci sembrano acquisite, scontate, ovvie. Fu l’ascesa della borghesia a trasformare l’immagine del bambino. Prima, la natura era cattiva e il bambino un piccolo selvaggio, che bisognava trasformare in un buon cristiano e un buon suddito. Agli aristocratici – diceva Montesquieu della sua classe sociale – «tutto ciò che ha qualche rapporto con l’educazione dei fanciulli appare come qualche cosa di basso e di volgare». Così ricorrevano a balie, bambinaie e istitutori, per non vederli mai. I borghesi, invece, lanciarono la moda di venerare i figli. Costruirono case in cui al posto di grandi saloni c’erano stanze intime e accoglienti, «conchiglie rotonde», come le descrisse un autore del Settecento. E infine Rousseau inventò il «fanciullo adulto», il bambino che «in ogni stadio della vita ha una sua perfezione, una sorta di maturità che le è propria». Il culmine di questa maturità si collocava proprio intorno ai dodici anni, prima che la pubertà «trasformasse in zucca la carrozza». «La natura – scriveva il grande filosofo – vuole che i bambini siano bambini prima di essere uomini». È un’idea talmente rivoluzionaria, ha notato Michel Tournier, che ancora oggi non riusciamo a farla nostra fino in fondo: valutiamo un dodicenne non in rapporto a ciò che è, ma a ciò che diventerà, e perciò lo definiamo un «preadolescente». «Che è un po’ come se si decidesse di definire gli uomini di trent’anni dei preanziani...».
Nonostante i miei dubbi educativi, dunque, forse non sbaglio quando mi alzo dal divano per interrompere un’irruzione del mondo degli adulti nelle serate d’estate dei miei bambini. C’è tempo per l’adolescenza, e poi a quella già ci pensa Tik Tok. Per ora, godiamoci la loro perfezione.