I film senza cinema Solitudine di massa
Nel suo bellissimo libro, Forte respiro rapido. La mia vita con Dino Risi (Mondadori), il figlio di Dino, il regista Marco, offre un ritratto vivo e colorito non solo di suo padre, uno dei più grandi registi di cui l’Italia possa vantarsi, ma del mondo del cinema italiano.
Un ritratto della fauna chiassosa e variegata che popola l’ambiente romano, di quel formidabile miscuglio di ironia, sarcasmo, arguzia, intelligenza e anche disperazione che è stato il contrassegno di una stagione dorata della nostra cultura e della nostra arte. In queste pagine c’è anche un tormentone che Marco Risi introduce con costanza nei suoi racconti e nei suoi ricordi: la malinconica e rassegnata aggiunta «Non c’è più» o «Ha chiuso» ogni volta che viene nominata una sala cinematografica sparita dal paesaggio culturale romano. Non c’è più il Rivoli. Ha chiuso l’Ariston, assorbito nel multisala Adriano, che è tutt’altra cosa. Non c’è più l’Embassy. E si può proseguire: non ci sono più l’Etoile, il Metropolitan, il Rialto. E si può continuare all’infinito con la moria dei cinema di quartiere o di zona, come il mio Mazzini, il cui soffitto si spalancava durante l’intervallo tra il primo e il secondo tempo («Non c’è più») per far uscire le colonne di fumo di sigaretta che appestavano l’aria senza che ce ne accorgessimo, o il Clodio, o il Cola di Rienzo accanto all’Eden (questo c’è ancora). E poi l’Arlecchino, scomparso, e i cineclub, i cinema